Può il batterista di un gruppo fantastico diventare il cantante di un’altra
band altrettanto favolosa?
Beh, se ti chiami
Ted Poley evidentemente sì, dacché sia Prophet (in cui, in realtà, si era già cimentato al microfono, al fianco del compianto
Dean Fasano …) e sia Danger Danger, seppur con modalità artistiche diverse, rimangono due capisaldi della storia del
rock melodico.
Ammirazione e invidia, dunque, per un artista molto talentuoso, affermatosi nel campo della fonazione modulata, che anche nella sua carriera solista ha saputo garantire ampie soddisfazioni ai suoi estimatori.
“
Beyond the fade” non è altro che la nuova testimonianza discografica del nostro in veste “egocentrica”, ma non vorrei che si trascurasse il
team di lavoro “
made in Italy” che lo sostiene in questa impresa sonora targata
Frontiers Music.
Alessandro Del Vecchio (il quale, sempre a proposito di scintillante versatilità, qui si cimenta pure lui dietro ai tamburi!),
Mario Percudani (semplicemente spettacolare la sua prova!) e
Anna Portalupi rappresentano ormai una sicurezza a livello internazionale in fatto di competenza e sensibilità esecutiva e forniscono alla voce di
Poley, sempre lodevole per colore timbrico, disinvoltura e capacità comunicative, un prezioso e vitale supporto strumentale.
E allora? Tutto perfetto?
Mmm … quasi, direi … l’
album è indubbiamente assai godibile, è intriso di un edonistico spirito
ottantiano capace di risollevare fin dal primo contatto l’animo dei
fans del settore, eppure non sempre tutto funziona in maniera impeccabile, dando talvolta l’impressione di un’eccessiva “banalizzazione” della questione compositiva, con quel pizzico di fastidioso manierismo che zavorra l’impatto emotivo.
Dettagli, probabilmente, e tuttavia un piccolo “fardello” che non consente all’opera di raggiungere del tutto The Defiants (tanto per rimanere in ambiti “pericolosi”) o Vega (da tirare in ballo anche perché
Tom e
James Martin hanno partecipato fattivamente alla stesura di “
Beyond the fade”) nell’
élite delle uscite recenti più efficaci del genere.
Ciò detto, non sarà comunque difficile classificare in “
Let’s start something”, “
Everything we are” e la
cover dei Blonz "
Hands of love” (alla cui scrittura ha contribuito pure un certo
Joe Lynn Turner) come briosi frammenti di
melodic rock (tra Bon Jovi e gli stessi Danger Danger) di notevole suggestione, allo stesso modo in cui il duetto con
Issa in “
The perfect crime”, nonostante una certa convenzionalità, appare piuttosto gradevole e seducente.
Per trovare un pezzo davvero “impressionante” bisogna, però, attendere “
Stars”, gratificata da un
pathos trascinante e da uno di quei crescendo emozionali talmente voluminosi e incisivi da non poter opporre la benché minima resistenza.
Atmosfere vagamente Mardones-
iane avvolgono l’adescante “
Higher”, mentre “
Where I lost you”, “
You won’t see me cryin’” e l’ombrosa “
We are young” (da
standing ovation …) sono altri momenti veramente “superiori” del programma, sospesi tra malinconia, romanticismo e pulsante tensione espressiva.
La gioiosa “
Sirens” e l’aitante
slow “
Beneath the stars” chiudono con un appena pizzico di stucchevolezza un disco che merita considerazione e che, tuttavia, a causa del velo di formalismo che lo condiziona, non è quell'investimento assolutamente inattaccabile che molti
chic-rockers agognavano.