Se il mondo del
business discografico fosse caratterizzato da equità e meritocrazia, gli
Zlang Zlut sarebbero famosi almeno quanto gente come Apocalyptica, The Black Keys e The White Stripes.
E invece questo maturo duo svizzero, già autore di un
Ep e di un f
ull-length non lo conosce quasi nessuno (nemmeno io, prima di oggi …) ed è un vero peccato, poiché raramente ho riscontrato tanta forza espressiva in un dischetto di
hard-rock-blues.
Eh già, perché, sebbene in una configurazione contaminata ed estrosa, è proprio questo il genere proposto da
Fran Lorkovic e
Beat Schneider, due
geniacci magari privi del
physique du rôle eppure incredibilmente talentuosi e competenti.
Batterista e cantante il primo, impegnato a strapazzare il violoncello elettrico il secondo, i nostri edificano un eccitante impianto sonoro dalle solide radici “tradizionali” e poi lo manipolano in modo da tenerlo ben lontano sia dallo sterile riciclaggio e sia dalle patinature spesso offerte dai nomi citati all’inizio della disamina.
Qui tutto è viscerale e genuino, ci sono i Led Zeppelin che
flirtano con Cream, Deep Purple e AC/DC, ma con il tutto distillato attraverso le sinapsi cerebrali di Masters of Reality, The Jesus Lizard e del migliore
Jack White, ci sono l’iconoclastia degli anni novanta e il nervosismo del terzo millennio fusi con la voglia di “libertà” degli anni settanta o più semplicemente c’è la volontà di musicisti piuttosto esperti di continuare a dar sfogo alla creatività senza per questo rinnegare i dogmi consolidati della loro formazione artistica.
E allora via sull’ottovolante sonico di “
Crossbow kicks”, partendo dalle infangate e irresistibili pulsazioni sudiste di “
Hit the bottom” e “
Shake me up”, per poi passare a un favoloso ibrido come “
Against the wall” dove affiora la follia propositiva dei Primus.
Avvincenti influssi mediorientali caratterizzano il tiro di “
They gave you madness”, in “
Little demon” sembra quasi di assistere a una versione degli MC5 trasportata nel 2016, mentre in “
Rage” le atmosfere diventano improvvisamente cupe e morbose, conservando intatta la naturale disinvoltura.
Il viaggio continua con una capatina nelle paludi del Mississippi grazie a “
Freedom is a bitch” (
featuring Sämi Schneider all’armonica) e se
Auerbach e
White potranno invidiare l’efficacia di questo
trip (compreso il
break “spaziale”) magnetico e sanguigno, chissà cosa penseranno
Biff Byford & C. della trascrizione della loro “
Out of control”, per quanto mi riguarda assolutamente degna di quel capolavoro dei Saxon intitolato "
Denim and leather".
La sorprendente versatilità fonatoria di
Lorkovic offre un altro saggio delle sue potenzialità in “
Now”, in cui il timbro del
vocalist e
drummer elvetico acquisisce sfumature Ozzy-
ane per interpretare in maniera appropriata un ammaliante frammento di caliginoso e lisergico
hard-blues, gratificato da una prestazione di
Schneider semplicemente inebriante.
Ancora un paio di brani, prima dell’inevitabile ennesima pressione del tasto
play sul fedele lettore
Cd …“
Everlasting dream”, una “roba” che piacerebbe, oltre a
Les Claypool, pure a
David Byrne e lo scalciante
boogie “
Get down”, esplicito e assai incisivo tributo ai maestri del genere Status Quo.
Probabilmente non diventeranno mai popolari come “certi” loro colleghi, e tuttavia sono fermamente convinto che l’essenza artistica degli
Zlang Zlut possieda due preziosi elementi, insoliti e un po’ “misteriosi”, ossia le idee e l’attitudine … volendo semplificare, nel settore, uno dei gruppi più interessanti degli ultimi tempi.