Alla luce del precedente, osceno “
Spellbound”, uscito ormai ben quattro anni fa (come passa il tempo non passa niente), quando sul nostro glorioso forum ho letto la notizia che anche l’imminente nuovo album di
Malmsteen sarebbe stato cantato da lui su 2 o 3 pezzi e tutto il resto affidato a strumentali, m’è sinceramente preso lo sconforto.
Dopo due dischi molto, molto validi come “
Perpetual Flame” e “
Relentless”, Yngwie è nuovamente sbroccato di testa, cacciato tutti, ripreso in mano ogni aspetto legato al disco e ritrasformato la propria carriera in scarsi episodi solisti anziché una vera band, con ovviamente lui come superstar: suona tutto (anzi no, la batteria la lascia allo sconosciuto ragazzino
Mark Ellis, proveniente da una band di cui Yngwie è/è stato produttore, gli
NZM), si occupa di tutto (ahimè, anche della produzione) e vuole tutto.
Come detto, il precedente “Spellbound” è stato uno dei punti più bassi della ormai nutritissima discografia dello svedese volante e stessa sorte mi attendevo per “
World on Fire”, che praticamente usciva con le stesse modalità. Invece no.
Per non so quale miracolo, una vita matrimoniale più serena (o travagliata, a seconda da dove prende l’ispirazione), una dieta, una partita di whiskey migliore, fatto sta che stavolta i brani son semplicemente migliori, decisamente più riusciti e coinvolgenti, anche più metal se vogliamo, poiché alle rockettose “
Let Sleeping Dogs Lie” e le altre due di cui fortunamente in questi quattro anni sono riuscito a rimuovere i titoli ma non lo schifo che mi provocarono, si sostituiscono in questo disco tre brani molto più pesanti ed incisivi, come l’omonima opener, che sinceramente stupisce per il piglio ritrovato.
Lo stesso Yngwie, benchè sempre col suo vocione nasale e grasso, canta in maniera molto meno sgraziata e la buona fattura della canzone lo agevola in quella che ne risulta una prestazione più che decorosa, permanendo comunque il rammarico per non sentire un vero cantante alle prese con questo materiale.
Ancora meglio le altre due non strumentali, ovvero la mid-tempos “
Lost in Machine” e “
Soldier” che dopo un inizio quasi epico e sognante si scatena nella sua cavalcata di altri tempi. C’è da gridare al miracolo? No, assolutamente, ma dopo un disastro totale è comunque una notizia lieta che accogliamo a metà tra la sorpresa e la rassegnazione che quest’uomo non riesca a focalizzare le proprie idee e limitare il proprio ego, sprecando così il proprio talento.
Il resto dei brani, tutti strumentali, che completano l’album vanno dal noioso, al decente, al carino, al convincente, passando per fulminee rasoiate solistiche, episodi acustici, talvolta con piglio decisamente heavy metal, talvolta con tinteggiature maggiormente di colore hard rock ma in ogni caso sempre piuttosto godibili. Il problema è che tutto questo, chitarristi ed amanti dei guitar hero a parte, è difficilmente digeribile per intero da un ascoltatore medio, come potrebbe essere il sottoscritto: e poi, con tutto il rispetto, un conto è il primo album “
Rising Force” del 1984 o una “
Far Beyond the Sun” ed un conto è “
World on Fire” del 2016 o una pur onesta “
No Rest for the Wicked”. Malmsteen lo conosciamo tutti, queste strumentali non sono altro che – per quanto belle – ennesime perfette riproposizioni del proprio stile neoclassico, come al solito velocissime, pulitissime (perlomeno in studio) ed intensissime.
Persino la produzione, se pur certamente non valida, questa volta è meno oscena del solito e sembra un miracolo che Yngwie sia finalmente riuscito ad accettare delle critiche ed andare a ritoccare il suo modus operandi.
Basterà tutto questo per noi aficionados del maestro? La sufficienza tutto sommato questo disco quasi la raggiunge, ma rimane quel senso di amaro in bocca per aver atteso 4 anni per sole tre canzoni che non sapremo mai come sarebbero venute, non diciamo con un
Soto, ma con un
Boals, un
Vescera, un
Edman.
E vabbè…speriamo trovi la pace dei sensi e rimetta su una formazione completa e ci regali gli ultimi veri botti della sua incredibile carriera.