Copertina 8

Info

Anno di uscita:2005
Durata:63 min.
Etichetta:Inside Out
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. I
  2. A
  3. M

Line up

  • Tomas Bodin: keyboards
  • Marcus Liliequist: drums
  • Jonas Reingold: bass
  • Jocke JJ Marsh: guitars
  • Anders Jansson: vocals
  • Helene Schonning: vocals
  • Pernilla Bodin: vocals

Voto medio utenti

Non esiste riposo in casa Flower Kings, il cui leader carismatico Roine Stolt (Kaipa, The Tangent, Transatlantic e chissà quant'altro) deve aver trasmesso un morbo di iperattività anche al fido tastierista Tomas Bodin, giunto zitto zitto al suo quarto lavoro solista,per il quale si è avvalso di altri 2 attuali membri della band (il bassista Reingold ed il nuovo drummer Liliequist), il chitarrista di Glenn Hughes (JJ Marsh) ed un trio di vocalists tra cui spicca il poliedrico Anders Jansson e la moglie di Bodin (Pernilla). Il concept è complesso, ambizioso e prende spunto da esperienze personali vissute da Bodin attraverso una ricerca interiore che abbraccia temi filosofici, spirituali e la reincarnazione (per dirla in breve, qualcosa di analogo come testi a "Be", e forse non è un caso che Daniel Gildenlow abbia spesso preso parte ai tour dei Flower Kings come backing vocal e strumentista aggiunto), suddiviso in 3 lunghe suites da 20 minuti circa (che a sua volta comprendono diversi capitoli), musicalmente differisce in parte dallo stile Flower Kings e richiede ripetuti quanto attenti ascolti con booklet a portata di mano, solo allora si potrà apprezzare in pieno il gran lavoro musicale e compositivo svolto da Bodin. Gli inizi di "I" sono molto pacati e riempiti da voci, piano e tintinnii (c'è anche l'effetto della moneta che cade (usato in passato dai Gentle Giant), l'atmosfera pian piano cresce e dopo 2 minuti si è in pieno territorio prog, con tastiere e chitarre a dominare in un clima Flower Kings - Transatlantic molto arioso e magniloquente, si passa ad una fase più emotiva (piano-voce) ben rappresentata dal cantato di Jansson e i cori ( qui il primo intervento di Pernilla, replicato da Helene Schonning nel finale), poi è tutto un alternarsi di cambi di ritmo, improvvisazioni strumentali, chitarre heavy, voci strazianti, sonorità prog, heavy, tastiere alla Deep Purple e richiami ai Pink Floyd melodico-malinconici di "Final cut" (bello nel finale il duetto Helene-Jansson con piano e tastiere in leggero sottofondo). La seconda suite "A" all'inizio richiama un pò il tema di una soundtrack eseguito al piano, ma dopo 30 secondi si passa a sonorità hard-blues anni '70 condotte magistralmente dalla chitarra di JJ e dalla voce di Jansson (potente e riuscita la sezione corale nel refrain "Take me home again"), c'è spazio per un successivo momento strumentale più rilassante (ancora pianoforte e basso) a cui si accompagna un cantato quasi sussurrato e a tratti corale, si prosegue un pò stancamente fino a quando nel finale, preceduti da un lungo guitar solo, arrivano vocalismi femminili di chiara derivazione Pink Floyd ("Great gig in the sky"), quindi il ritorno ad un cantato corale, drammatico e solenne, si torna all'hard rock più classico e si conclude ancora con urli femminili, inserti strumentali presi un pò da "Atom heart mother" ed un concitato e caotico finale che fa posto a voci confuse (messaggi con parole dette a rovescio?) e ancora monete lasciate cadere tintinnando. "M" inizia ancora con piano e voce, ma stavolta la resa di Jansson è tale da chiamare in causa il miglior Roger Waters, il pezzo in questione è molto influenzato dalle melodie Pink Floyd e Beatles con tanto di cori, poi un cambio di tempo ci porta ad una fase strumentale che ricorda i primi due lavori (interamente strumentali) di Bodin, in cui trovano posto anche sonorità alla Frank Zappa e incursioni nel punk, voci distorte, rabbiosi e ruvidi riffs di chitarra, drumming molto sostenuto ed un uso più moderno delle tastiere (nonostante tutto questo avvicendarsi, Bodin riesce comunque a governare la struttura della suite senza incappare in momenti di stanca), negli ultimi 8 minuti si ritorna ad una deliziosa, sognante ed ancora soffusa melodia (voce da Bowie agli esordi) condotta da una chitarra alla Gilmour, è una sorta di preparazione al finale maestoso ed emotivo in cui ancora lo stile cristallino di JJ Marsh appoggia il cantato a 3 voci (e qui si sente molto il marchio tipico dei Flower kings).
E' un disco che Tomas Bodin non avrebbe mai potuto fare rimanendo nei Flower Kings, e sono convinto che piacerà molto di più agli amanti del rock più classico che non a quelli del prog, pregi e difetti non mancano in ciascuno dei 3 brani, ma credo proprio che, con la fame di questi tempi, questo sia un acquisto obbligato.
Recensione a cura di Carlo Viano

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