Questa “faccenda” del
vintage rock ha ormai assunto proporzioni davvero considerevoli, con una miriade di formazioni impegnate strenuamente a tributare la loro devozione ai colossi del genere.
Emulazione, mancanza di stimoli, riconoscenza e vera resurrezione di un suono immarcescibile si mescolano vorticosamente e diventa sempre più difficile districarsi in mezzo a tutti questi fanatici dei
seventies più o meno “autentici”.
Considero gli
Scorpion Child uno di quei gruppi capaci di riprendere i dogmi della “tradizione” e proporli con il
feeling originario e una vigoria adatta ai nostri tempi. La loro dipendenza dai Led Zeppelin, soprattutto, è assolutamente evidente, ma nella musica dei texani c’è anche tanta energia e tensione espressiva, in una misura sufficiente da allontanarli dal plagio e da renderli credibili e convincenti pure agli occhi (e alle orecchie …) di chi il
Dirigibile lo ama ancora follemente e non accetta di buon grado sterili riproposizioni della sua arte immortale.
Per di più oggi, a tre anni dall’esordio eponimo, dopo un’importante serie di avvicendamenti in
line-up, la
band americana sembra aver trovato un’invidiabile coesione e determinazione, con il tastierista
Aaron John “AJ” Vincent da considerare un acquisto veramente prezioso, in grado di conferire una diversa pienezza e un suggestivo “colore” al suono (ascoltatelo nella
title-track per un immediato riscontro).
La conferma di
Aryn Jonathan Black nelle vesti di “
novello Robert Plant” (una “novità”, tra l’altro!) è condivisibile nella forma e tuttavia un po’ fuorviante e riduttiva nella sostanza, sia perché il migliore “
Percy” è tuttora inarrivabile e sia perché il bravo
vocalist americano aggiunge alla sua prestazione intriganti sfumature timbriche abbastanza inusuali per il “ruolo” (si dichiara
fan di Bauhaus e The Sister Of Mercy …), dimostrando di aver appreso dai grandi della fonazione modulata anche una certa duttilità interpretativa.
“
Acid roulette” è, dunque, un disco di
hard-rock classico che difficilmente vi sembrerà un semplice “specchio del passato” e anche quando, come accade in “
She sings I kill”, “
Winter side of deranged”, nel viscerale
blues “
Blind man's shine” e nella spigliata “
Moon tension”, lo “spettro” del
Martello degli Dei si manifesta in maniera piuttosto tangibile, l’impressione è che si tratti di una lezione appresa e non pedissequamente ripetuta.
Restando in tema di “fantasmi”, troverete quelli della
NWOBHM comparire nelle scosse di “
Reaper's danse”, e mentre “
My woman in black” stimolerà brividi di soddisfazione
cardio-uditiva negli estimatori dei The Cult, “
Acid roulette” onora il suo titolo e materializza nei gangli sensoriali dell’ascoltatore un
trip ipnotico e straniante impregnato di Deep Purple e Pink Floyd.
"
Twilight coven” (con il
drumming impetuoso di
Jon “Charn” Rice) e “
Tower grove”, potrebbero facilmente essere scambiate per una
jam fra
Zeps e
Purple, la toccante “
Survives” aggiunge Queen,
Bowie e Mother Love Bone all’elenco dei “buoni maestri “ del quintetto e la fuligginosa “
Might be your man” sconfina addirittura nei territori desertici e accecanti dello
stoner.
“
Addictions”, con i suoi sei minuti abbondanti (compresa la “coda” effettistica …) di seducente
hard-rock-blues (una “roba” da fare invidia a The Black Crowes e The Temperance Movement), è il perfetto sigillo di un albo che riesce a essere rigoroso e conservatore senza apparire datato e sottomesso … in fondo, è “solo” questo che si chiede ai tanti cosiddetti
retro-rockers che affollano la scena contemporanea.