Il cucuzzolo dell’altura si ergeva imperioso oltre il sentiero, trasfigurandosi, nella mia psiche obnubilata dall’affanno, nella testa di un gigante addormentato da neve ed inedia. Occhi invisibili sembravano scrutarmi dall’alto, giudicandomi per l’andatura caracollante ed il fiato, più corto ad ogni passo. Un vento gelido mi artigliava il viso, sussurrando parole di irrisione.
Tuttavia ad atterrirmi, più di ogni ostacolo esterno, era il carico di afflizione sonora che flagellava i miei padiglioni auricolari: una melodia pregna d’indicibile tormento, un mesto inno alla sconfitta, alla resa, al nulla.
Una melodia che, con ogni probabilità, mi avrebbe convinto a desistere dal proseguire oltre lungo il percorso alpino, ad arrendermi e lasciarmi morire nella spessa coltre di neve…
…non fosse che, in realtà, stavo percorrendo un innocuo viottolo con scarsa pendenza, che terminai in poco più di 20 minuti per raggiungere mia moglie in baita e mangiarmi un bel gulasch.
Eppure, scherzi a parte, l’ascolto in cuffia di “
Tortured by Solitude”, brano capolavoro dei
ColdWorld, non aveva semplicemente toccato le mie corde interiori: di fatto, le aveva quasi spezzate.
Proprio nell’annientamento dell’ascoltatore, a mio avviso, si rinviene il maggior pregio di una ricetta musicale che in occasione del nuovo “
Autumn” non subisce mutamenti sostanziali (per fortuna), ma si arricchisce di alcuni ingredienti.
Così, il
depressive black metal con venature sinfoniche che avevamo imparato ad amare si fregia di struggenti linee vocali in clean (talvolta riconducibili al
deus ex machina Georg Börner, talaltra opera di
Emma Skemp dei
Sangre de Muerdago), si arricchisce d’inattesi arrangiamenti di nyckelharpa (strumento tradizionale svedese simile alla ghironda), e più in generale indugia nell’esplorazione del versante melodico del proprio spettro sonoro.
La componente estrema permea ancora la proposta della one man band di
Erfurt, come si può agevolmente evincere dalle accelerazioni dell’opening track “
Scars” o dalle malevole partiture di “
Climax of Sorrow”; purtuttavia, è su brani più atmosferici come “
Womb of Emptiness”, “
Autumn Shades” o la colossale “
Void” -a mio avviso la migliore del platter- che il calibro emotivo dei
ColdWorld esonda, trascinando con sé ogni speranza di sollievo.
Ciò che più impressiona delle composizioni è l’ambivalenza emozionale che sanno dipanare: l’intimismo sposa l’epicità, l’ira convive con la rassegnazione, la capacità evocativa compenetra l’introspezione, forgiando un’esperienza uditiva che materializzerà immagini talmente vivide da poter essere toccate, ma aprirà altresì una finestra sulla vostra anima.
Come se vi trovaste a contemplare un immane baratro davanti ai vostri occhi, per poi accorgervi che, in realtà, non state osservando altro se non il vuoto dentro di voi.
Ok, la smetto con le corbellerie simil-nietzschiane e torno sul pezzo: “
Autumn” è ancor meglio di quanto sperassi alla vigilia, e avanza una prepotente candidatura al titolo di miglior album nella mia
poll 2016.
È stata dura attendere otto anni per avere un successore di “
Melancholie²”, ma la pazienza è stata ripagata eccome; nondimeno auspicherei, per il futuro, una progressione discografica meno pachidermica.
Il prossimo platter si chiamerà “
Winter”, ed è stato descritto dallo stesso
Börner come “freddo e oscuro, la fine di ogni cosa”.
Non vedo l’ora.