Guai a chi osa definire questo “
Ancient rocks” il solito “
album di cover”.
Del resto da un notabile del
rock che si chiama
Joe Hasselvander, che ha legato il suo nome a colossi come Pentagram e Raven, era veramente difficile aspettarsi la classica soluzione di comodo utile a tenere alta l’attenzione magari in un periodo di scarsa vena creativa.
Così, anche se la nascita del disco prende spunto (come dichiara lo stesso
Joe nelle note del curato e suggestivo
booklet dell’opera) dal celebre "
Pin Ups" di
David Bowie e non è la prima volta che un artista decide di rendere omaggio ai gruppi che ritiene importanti per la sua formazione musicale (e che per varie ragioni non hanno ottenuto il giusto riconoscimento), mi sento di promuovere abbondantemente questo lavoro targato
The Hounds Of Hasselvander in virtù di due aspetti fondamentali: il valore altamente “educativo” delle selezioni e la potentissima forza espressiva con cui certi “classici minori” vengono parafrasati.
Con il nobile supporto esecutivo di
Martin Swaney (ex-Death Row / Pentagram),
T.C. Tolliver (ex-Plasmatics) e di
Paolo "Apollo" Negri, a cui si aggiunge il fattivo contributo dei vecchi amici
Russ Strahan,
Jimmy Kunes e
Frankie Brando,
Hasselvander scava nello scrigno della sua ricca memoria artistica ed estrae, innanzi tutto, una manciata di autentiche gemme “oscure” dell’
hard-rock, che andrebbero davvero riscoperte in questi periodi di rivalutazione (spesso acritica) del passato.
Trooper (scoperti e prodotti da
Randy Bachman dei BTO), Bang (considerati una sorta di risposta americana ai Black Sabbath, ma di certo tutto meno che una semplice
wannabe band), Boomerang (dell’ex-Vanilla Fudge
Mark Stein, uno che ha insegnato qualcosina pure a un certo
David Coverdale) e Jerusalem (uno dei “segreti” meglio custoditi della storia del
rock duro) meritano tutta la considerazione possibile e sono sicuro che qualora siate digiuni della loro arte, “
I’m in trouble again”, “
Idealist realist”, “
Juke it” e la devastante “
Primitive man”, rispettivamente, qui riproposte con enorme fervore e inusitata intensità, vi faranno venire la voglia di sfruttare le immense potenzialità del
web in maniera costruttiva.
Esattamente quello che, del resto, il sottoscritto si appresta a fare dopo l’ascolto di “
CookBook”, uno spaccato di note acide e pulsanti firmato dagli (a me) sconosciuti The Damnation of Adam Blessing e che ben presto indagherò a fondo.
A completamento del programma troverete poi due pilastri del
garage come Troggs (quelli di “
Wild thing”, per intenderci, celebrati con un riuscito adattamento della piccante “
Strange movies”) e The Pretty Things (molto bella la trascrizione di “
Midnight to six man”) e alcune celebrità assolute della scena come
Bob Seger (la ruggente “
Teachin’ blues” rievoca in maniera assai efficace i suoi primi anni di carriera), Blue Cheer (“
Come and get it”, un pezzo da
Hall Of Fame del settore) e Humble Pie (dirompente la versione della loro “
One eyed trouser snake rumba” cantata con la complicità di
Jimmy Kunes!), e qui ovviamente, più che la “scoperta” è la grande passionalità interpretativa dei nostri a impressionare e a fare la differenza, avvalorando la tesi che quando non si è artisti “qualunque” ci si può tranquillamente affidare anche alla diffusa pratica dell’archeologia musicale e riuscire comunque, oltre a mantenere intatta la credibilità, a garantire livelli di gratificazione
cardio-uditiva di tutto rispetto.