Solo qualche mese fa l'EP "Satan's Tomb" aveva attirato su di se attenzioni e grandi aspettative, ma tutto sommato non si era gridato al miracolo. Un sound dal chiaro lignaggio Mercyful Fate, con l’ostentata presenza di
Michael Denner e
Hank Shermann a garanzia e a giustificazione di questa nuova realtà.
Alla voce ritroviamo
Sean Peck, vocalist dei Cage (ottima formazione californiana dedita al più classico Heavy Metal priestiano), alla batteria riecco l'iperattivo
Snowy Shaw (tra le sue innumerevoli collaborazioni anche quella al fianco del King Diamond solista e soprattutto degli stessi Mercyful Fate) e infine al basso lo statunitense
Marc Grabowski, già assieme a
Shermann nei Demonica.
E con questi presupposti "
Masters of Evil' non può che rivelarsi un capolavoro!
Invece
no. Un discreto album, sì, ma non in grado di rivaleggiare con dei veri classici, quali possono (e lo sono...) essere "Melissa" o "Don't Break the Oath".
I rimandi ai gloriosi trascorsi della coppia
Denner - Shermann, sono palesi sin dalla copertina che si rifà sfacciatamente a quella di "Don't Break the Oath", e in effetti è stata realizzata proprio dallo stesso
Thomas Holm che a suo tempo curò quelle dei primi due LP dei Mercyful Fate (oltre a diverse dei King Diamond, ma anche, tra i tanti, di Brainstorm e Wolf).
Musicalmente siamo di fronte ad un songwriting misurato ed efficace, con una prestazione dei cinque musicisti di assoluto valore e rilievo, ognuno in grado di fare la differenza, con un
Sean Peck che scopriamo ancor più versatile di quanto avesse già dato prova nei Cage, concedendosi pure sfumature alla Ozzy Osbourne in occasione di "
The Wolf Feeds at Night" e della conclusiva "
The Baroness".
Certo che l'opener "
Angel’s Blood" e la seguente "
Son of Satan", tra guitarwork e linee vocali, mettono in campo grandi sforzi per trasportarci indietro nel tempo, al periodo d'oro della coppia di chitarristi danesi. Mentre per
Peck non è semplice scrollarsi di dosso l'invadente influenza halfordiana cui è stato spesso e volentieri accostato ("
Pentagram and the Cross", la titletrack, "
Escape from Hell" ...). L'ambiziosa "
Servants of Dagon", lo è solo nelle intenzioni dato che dopo poche battute si svela noiosa e dispersiva, e poco di buono da dire pure riguardo a "
Escape from Hell", che tira fuori dal cilindro una evidente influenza nei confronti dei Judas Priest, un po' come fanno i Gamma Ray quando smarriscono l'ispirazione, inoltre la coppia di chitarristi esagera davvero negli assoli, arrischiando pure qualche nota di troppo.
E a proposito di perplessità, ci sono anche quelle che affiorano scorrendo i titoli delle canzoni, con
satanassi,
scenari infernali e
pentagrammi che fanno capolino qua e là, il che fa specie, visto che furono proprio i contrasti tra King Diamond e
Hank Shermann sull'aspetto lirico da perseguire a portare, nel dicembre del 1984, al primo scioglimento dei Mercyful Fate, che nei successivi album si orienteranno, infatti, verso delle horror stories.
"
Masters of Evil" è un album che si lascia ascoltare, e in diversi frangenti pure con piacere, ma alcune canzoni sembrano claudicare e sul tutto spira un certo alone di (... no, non misticismo e magia!) opportunismo.
I was born to
reviewHear me while I
write... none shall hear a lie
Report and
interview are taken by the will
By divine right hail and
write
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