Mi piace l’etichetta
“hybrid metal”. Vuol dire tutto e il contrario di tutto, ma è efficace nell’inquadrare la proposta musicale di questi
Creinium (monicker non azzeccatissimo, considerando che Google tende a correggerlo automaticamente in
Cranium), giunti al primo full-length dopo un EP datato 2014 e recensito sulle nostre pagine digitali da
Marco Caforio.
Nonostante l’instabilità della line-up (il disco è uscito all’inizio di luglio e solo da allora il sestetto è diventato un trio) mi sembra che i finlandesi siano riusciti a focalizzare abbastanza bene il proprio sound fatto di elementi extreme, orchestrazioni non troppo invadenti ed elettronica d’impatto e ben dosata.
“Hallucinosis” è un breve intro dove le tastiere in evidenza si muovono a cavallo tra musica sinfonica, atmosfere cinematografiche e sample di vaga memoria dance. La prima vera traccia è
“Seams”, che parte lenta ed enigmatica nell’armonia prima dell’assalto frontale del cantante
Eeli Helin, supportato ancora una volta dalle predominanti keys di
Antti Myllynen. Se in
“Astral Strain” sono le sfumature orchestrali a prevalere, in
“The Ophidian Heir” (uno degli highlight) i pochi elementi messi in campo creano un immaginario apocalittico che potrebbe rimandare al film
“Dune” di
David Lynch. C’è spazio anche per qualche venatura prog (il 7/8 dalle timbriche ottantiane di
“Vigilance”) prima di una traccia a tratti “romantica” come
“Passage To An Altered Portrait”, burtoniana nell’orchestrazione e impreziosita da un ottimo assolo di chitarra.
“Conscious Eclipse” è un brano più canonico di black metal sinfonico alla Dimmu Borgir e anticipa l’elaborata
“Solarbound Colony”, teatrale nella scrittura pianistica.
“The Diminished Perception” inizia doom e decadente prima di diventare uno degli episodi più tirati del lotto, peccato solo per l’eccessiva durata.
“Prometheus Through Immolation” è un altro brano non fondamentale, meno originale e più “nordico” nella composizione (i suoni rimandato quasi ai Nightwish) prima dell’accoppiata
“Compulsive Transition”/”God Monument”: il primo è un breve interludio dall’incedere sci-fi mentre il secondo è un altro episodio al vetriolo dove a farla da padrone sono le ritmiche serrate delle chitarre che sfociano in una lunga coda con il pianoforte in primo piano.
“Hallucinosis” è un buon disco ricco di spunti interessanti. Mi è parso un po’ “prolisso” e credo che si tratti di una scelta consapevole da parte della band: in ogni traccia sembra sempre di essere arrivati al climax, ma in realtà il combo “rilancia” spessissimo, nella migliore tradizione wagneriana. Questo
modus operandi può essere un plus, ma alla lunga stanca: la prossima volta, al loro posto, valuterei di rinunciare a 2/3 brani prima di approvare il master finale.
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