Cos’hanno in comune l’immarcescibile aristocrazia dell’
hard-rock e il cinema d’
exploitation?
Forse non tantissimo, ma essendo uno di quelli che ama entrambi in maniera viscerale, non posso che accogliere con curiosità ed entusiasmo il debutto eponimo degli svedesi
Lugnet, impregnato di Rainbow, Whitesnake, Deep Purple e Uriah Heep e contraddistinto da una
cover che rende omaggio a
Christina Lindberg (anche protagonista dei
videoclip dei brani “
All the way” e “
It ain’t easy”, nel ruolo della spietata vendicatrice “
One-Eye”), una delle attrici culto del genere a cui si è ispirato persino un certo
Quentin Tarantino (per il personaggio di
Elle Driver in “
Kill Bill”).
Limitandosi alle questioni squisitamente musicali, diciamo subito che si tratta di una celebrazione piuttosto riuscita e ispirata, tecnicamente irreprensibile e parecchio efficace sotto il profilo compositivo.
La voce stentorea di
Roger Solander (già collaboratore di
Ken Hensley), educata sui nobili registri timbrici di
Dio,
Ray Gillen,
Coverdale e
Tony Martin conduce con sapienza un manipolo di validi musicisti impegnati in una prestazione artistica dal notevole fascino, sebbene, ovviamente, non particolarmente “sorprendente”.
Nel marasma dei
retro-rockers i nostri si distinguono per forza espressiva e capacità di scrittura, dando avvio all’operazione “soggiogamento retrospettivo” attraverso le note istoriate di
Porpora di “
All the way” e aggiungendo subito dopo, con la potente “
Sails”, i colori di un celebre
Arcobaleno alla tavolozza sonora.
“
Veins” è un ottimo esempio di suggestiva evocazione Sabbath-
iana con
Solander sugli scudi, mentre l’avvolgente “
Tears in the sky” potrebbe tranquillamente essere un’inedita
outtake firmata Whitesnake e consente di porre l’accento sull’ottimo lavoro svolto alle tastiere dallo
special guest Bruno Erminero.
Buone vibrazioni arrivano pure dalla spigliata “
It ain't easy” e dopo la bella grinta di “
Gypsy dice”, la greve gemma dalle reminiscenze “sudiste” “
In the still of the water” e la lunga dissertazione Rainbow / Heep-
esca denominata “
Into the light” (gran pezzo!) concludono al meglio un
album alquanto accattivante per il
feeling che riesce a trasmettere pur sfruttando un filone stilistico assai inflazionato.
I ragazzi di Tungelsta hanno i mezzi e la vocazione per non essere fagocitati dalla massificazione del
revival e meritano considerazione.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?