Instaurare una collaborazione con un personaggio come
Lee Dorrian, nel 1995, non era esattamente una circostanza trascurabile.
Nulla, in realtà, di ciò che ha realizzato
Paul Chain nella sua variegata parabola artistica può essere definito con tale aggettivo, ma poter contare sulla presenza del
leader di Napalm Death e Cathedral (attento conoscitore della scena
doom,
dark-gothic e
prog, con una particolare predilezione per quella italiana), aveva fornito ai sostenitori del maestro pesarese l’impressione che i tempi fossero maturi per un incremento di visibilità doveroso, atteso e forse anche un po’ “temuto”.
“
Alkahest” esce per la Godhead / Flying con questi presupposti e si rivela un altro caposaldo nella discografia di
Chain, sicuramente meno “avventuroso” di altri suoi prodotti, eppure assai incisivo e focalizzato, il tutto senza snaturare il tipico
trademark di un musicista dotato di un’indiscutibile personalità e di uno straordinario carisma.
E allora, verosimilmente, il contributo di
Lee (un grande estimatore del nostro, che ancora oggi non perde l’occasione di spendere per lui parole d’elogio …) non si limita alla concessione della sua laringe al vetriolo a quattro brani del programma e porta in dote un vago barlume di “modernità” e un pizzico di quella “immediatezza” che si era fatalmente affievolita in anni di (geniali) sperimentalismi.
Il disco non rappresenta la svolta “commerciale” auspicata (anche perché l’etichetta che lo patrocina avrà vita breve …) ed è “semplicemente” la conferma di un’eccellenza inattaccabile, capace di ottenere stima e ammirazione in ogni angolo del globo, sebbene destinata a rimanere per sempre lontana dai riflettori.
Grazie all’apporto di una formazione di comprovata “fedeltà” e affidabilità (e qui mi piace menzionare il nome di
Fabrice Francese, bassista di Hurtful Witch, Tredegar e Treason, nonché coadiutore del compianto
Cristian Zanirato /
Chris Holder …), dedicato alla memoria di
Aldo Polverari, “
Alkahest” schiude le sue pesanti porte sui gorghi dell’inquietudine attraverso le pulsazioni dense e magnetiche di “
Roses of winter”, per poi ipnotizzare definitivamente l’astante con l’irresistibile litania “
Living today”, un’esperienza emotiva equamente suddivisa tra fisico e metafisico.
“
Sandglass”, con quell’organo funereo sullo sfondo, sgrana il suo conturbante rosario in maniera lenta e sinistra, mentre l’enfatica “
Three water” accentua ulteriormente il senso di coinvolgimento sensoriale, risucchiandoci in un possente vortice tra liturgia, oblio e visioni ataviche.
Il soffio celtico concesso all’introduzione di “
Reality” si trasforma molto presto in un incubo a occhi aperti, e se il canto di
Dorrian nella riproposizione di “
Voyage to hell” (in origine sull’
Ep “
Detaching from satan”) è uno stridente graffio di unghie su di un lucido feretro d’ebano, la ferale “
Static end” scava negli abissi dell’animo umano con una modalità operativa non troppo dissimile da quella ostentata dagli stessi Cathedral.
Ancora due vivide allucinazioni soniche, prima del “risveglio” … il viaggio lisergico e onirico denominato “
Lake without water” e la monolitica e perfida ”
Sepulchral life”, dominata dai mantrici fendenti chitarristici di
Paul e dall’ugola immersa nell’acido di
Lee.
Un patrimonio da difendere, conservare gelosamente e da far conoscere il più possibile al “mondo”, insomma, ed è in questo senso che va la benemerita opera della
Minotauro Records, la quale elargisce a questa ristampa, oltre ad una nuova pregevole veste grafica, anche una suggestiva appendice di straniamento, rappresentata da una stordente
cover di “
Electric funeral” (non credo sia necessario specificarne la paternità …) proveniente dalle stesse sessions di registrazione dell’albo.
Se amate il
doom, nella sua accezione più vera e sincera, oscuro e dolente premonitore della fine dei tempi e della decadenza dell’umanità, questo disco non deve proprio mancare nella vostra collezione.