“
Quando scende la sera, ci sono sempre alcuni istanti che non assomigliano a nient’altro”.
Ebbene, trovo che proprio la frase del drammaturgo austriaco
Robert Musil riassuma nel modo migliore la musica dei
Darkher. Musica che inquadrerei alla stregua di un autentico inno al crepuscolo, un’ode all’oscurità non impenetrabile, ma anzi colma di sfumature, gravida di presagi, bellissima e terribile al tempo stesso.
Più prosaicamente: si può racchiudere la proposta dei Nostri in un suadente
doom metal dalle tinte
dark, con una spruzzatina di
folk ed una forte impronta naturalistico/pagana ad avvolgere il tutto. Provate a creare un immaginario ponte tra
The 3rd and the Mortal,
My Dying Bride e…
Loreena McKennitt (ebbene sì) e vi sarete avvicinati alla proposta di questa peculiare entità.
Si scrive
Darkher, ma potrebbe leggersi
Jayn H. Wissenberg, cantante, chitarrista e compositrice di questo progetto a dir poco affascinante, giunto oggi al debutto discografico sulla lunga distanza dopo un promettente Ep (“
The Kingdom Field”, 2014).
Superata l’immancabile intro atmosferica a titolo “
Spirit Walker” ci penserà il sinistro crescendo di “
Hollow Veil”, sorta di “
Black Sabbath” in chiave stregonesca, a farvi scorrere i primi brividi lungo la schiena. Rinverrete il medesimo pathos nelle stupende linee vocali disegnate da
Jayn anche nella successiva “
Moths”, caratterizzata da un arrangiamento più etereo che, tuttavia, converge di nuovo in una livida invocazione doomeggiante.
Vi accorgerete, a questo punto, di quanto minimale sia il
songwriting. Si badi: minimale, non semplicistico. Per precisa scelta, ogni pezzo si dipana attorno a pochissimi elementi, la cui reiterazione viene tuttavia declinata, elaborata e giostrata con enorme sapienza a livello di arrangiamento ed interpretazione.
Va da sé che un simile
modus operandi comporta alcuni rischi: laddove l’idea di base che forgia un pezzo è vincente -penso, oltre ai brani già citati, alla tenebrosa “
Buried Pt. II” o a “
Foregone” opportuno ripescaggio del primo Ep-, si fila a meraviglia; al contrario, se lo spunto melodico non conquista sino in fondo, emerge immancabilmente un pelo di stanchezza. Emblematica, sotto questo profilo, la tripletta centrale “
Wars” / “
The Dawn Brings a Saviour” / “
Buried Pt. II”, meno ispirata del resto e destinata a far calare il livello di coinvolgimento dell’ascoltatore.
A compromettere ulteriormente il dinamismo del platter interviene poi la prestazione del batterista
Shaun Taylor-Steels (già con
Anathema e
My Dying Bride). Non pretendevo certo una prestazione alla
George Kollias, ed anzi la scelta di optare per un drumming controllato e “di accompagnamento” appare sacrosanta; epperò, acciderbolina, in alcuni passaggi un
modicum di vigoria ed estro in più nel percuotere quelle maledette pelli sarebbe stato decisamente gradito.
Peccato: l’otto in pagella e l’approdo nei
top album erano a portata di mano. Non bisogna dimenticarsi, d’altra parte, che parliamo di una compagine alle prime armi, con evidenti margini di miglioramento: mi piace pensare che l’appuntamento col capolavoro sia solo rimandato. Già oggi invito comunque i nostri lungimiranti lettori a concedere una chance a “
Realms”, piccola gemma di oscuro misticismo.
Darkher: band da tenere d’occhio… se riuscirete a scorgerla nella brumosa penombra del crepuscolo.
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