Chi ha qualche annetto sulla gobba come il sottoscritto probabilmente ricorderà i transalpini
Mercyless per il loro lavoro d’esordio del 1992
“Abject offerings”, album ancora oggi godibilissimo, che fece conoscere al grande pubblico il deaht metal Made in France.
Così come velocemente arrivarono alla notorietà, altrettanto rapidamente ritornarono nell’ombra. Il successivo “
Coloured funeral” conteneva parecchi spunti interessanti, ma i lavori usciti a partire dalla seconda metà degli anni 90, mostrarono una netta mancanza di mordente e di idee. Lo scioglimento fu il passo successivo fino al ritorno sulle scene con la pubblicazione nel 2013 del discreto
“Unholy black splendor”.Le cose non devono esser andate poi così male a
Max Otero & Co. visto che a distanza di 3 anni ci troviamo ad ascoltare
“Pathetic divinity”, nuova fatica targata
Mercyless.
Pur non trovandomi fra le mani uno fra i cd imprescindibili del 2016,
“Pathetic divinity” annovera fra i punti di forza compattezza e brani un songwriting lineare, ma allo stesso tempo non ci sono spunti tali da rimanere piacevolmente colpiti.
Decisamente un lavoro di maniera, frutto dell’esperienza maturata in decenni al servizio della musica, decisamente old school nell’approccio ma con un groove che ammicca alla recenti uscite del settore. Certo ci sono dei bei riff, una batteria rutilante e un growl comprensibile, ma dopo alcuni ascolti davvero faccio fatica a ricordare una canzone-simbolo di
“Pathetic divinity”.
Ai
Mercyless attuali si chiede quindi di osare di più, di sfruttare completamente le padronanza degli strumenti in loro possesso, non chissà quale evoluzione/rivoluzione che non gioverebbe alla loro causa, ma di alzare l’asticella per liberare completamente la rabbia e la brutalità.
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