Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2005
Durata:43 min.
Etichetta:Mascot
Distribuzione:Edel

Tracklist

  1. HIT AND MISS
  2. TRUE LOVE
  3. LOOK AT YOU NOW
  4. LITTLE DANCER
  5. HOW'D I GET SO LONELY
  6. LIES
  7. LONG TIME
  8. YOU DON'T OWN ME
  9. ONLY WAIT SO LONG
  10. BALL AND GAG
  11. GOOD GIRL

Line up

  • Jizzy Pearl: vocals, guitar
  • Pete Reveen: guitars
  • Mark Dutton: bass
  • Dave Moreno: drums

Voto medio utenti

Per il sottoscritto, il nome di Jizzy Pearl rimane indelebilmente legato a quello dei “sovversivi” Love/Hate e alla loro originale interpretazione dello street metal, concretizzatasi così efficacemente nel debutto “Black out in the red room”, un disco ancora oggi decisamente valido ed appagante.
Dopo i Love/Hate (i lavori successivi non confermeranno del tutto la dirompente carica dell’esordio), per Jizzy, anche collaborazioni con L.A. Guns, Adler’s Appetite e Ratt, le quali, anche se tutte di discreto livello, non riescono, ancora una volta, a convincere pienamente.
Si arriva così a questo secondo lavoro solista (il primo era intitolato “Just a boy”), che vede coinvolta, oltre a Dave Moreno, Mark Dutton e, in un brano (“How’d I get so lonely”), il noto Great White Michael Lardie (il quale si occupa anche della fase di mixaggio), un’altra “vecchia” conoscenza della scena rock degli anni 90, quel Pete Reeven che con la sua sei corde contribuì a rendere “Every dog has its day” dei Salty Dog (qualcuno si ricorda di loro?) un piccolo capolavoro d’intrigante ed intenso hard rock blues.
Qualunque colpa possa avere Las Vegas per essere tacciata di tale “Vegas must die” ed essere definita “ … a sleazy little town, but not quite sleazy enough …” da un Mr. Pearl in versione “updated look”, così come appare raffigurato sulla retro-cover del disco, non si potrà imputarla di non aver stimolato la creatività e la voce corrosiva ed espressiva del nostro protagonista, entrambe collocabili all’interno di uno standard di tutto rispetto.
I riferimenti musicali del platter sono Aerosmith, AC/DC, Alice Cooper, Led Zeppelin, con qualcosa del tradizionale rock-blues britannico dei seventies, i quali si realizzano in tracce molto buone come la bollente “Hit and miss” e la cadenzata “Only wait so long” (dove l’influenza degli aussie rockers per eccellenza e del loro mitico singer, Bon Scott, è piuttosto evidente), la sinuosa “True love”, l’urticante e selvaggia “Lies” o il più classico degli hard ‘n’ roll, qui denominato “Ball and gag”.
Con “Look at you now”, la ballatona “How’d I get so lonely” e la divertente “Good girl” e i suoi “coretti” d’antologia, eccoci catapultati direttamente nei primi anni settanta e, se devo dire la verità, la cosa non dispiace affatto.
Da valutare perfino lievemente superiori sono l’umorale e leggermente più “attuale” “Little dancer” e la bomba calorica “Long time”, tra devozione allo spirito Zeppeliniano e cori d’estrazione vagamente “psichedelica” e la replica nei confronti del culto del “Martello degli Dei” viene messa nuovamente in pratica, questa volta in versione acustica, nell’anima di blues “bucolico” che aleggia insistentemente in “You don’t own me”.
“Vegas must die” è, dunque, un rappresentante piuttosto degno di quell’hard blueseggiante, che a dispetto di molti suoi detrattori e sostenitori della “modernità” ad ogni costo, risulta ancora, se eseguito come in questo caso con competenza e feeling genuino, alquanto fresco e coinvolgente e ci riconsegna un cantante (e songwriter) che sa ancora il fatto suo in merito a versatilità e capacità vocale e che riesce a trasmettere le necessarie emozioni tramite la sua ruvida, eloquente ed opportunamente “alcolica” laringe.
E’ altresì altrettanto palese che questo disco non può competere con quello citato all’inizio della disamina e che continua a costituire, almeno per il momento, l’apogeo artistico del nostro Jizzy; d’altro canto, però, credo che bisognerebbe sforzarsi nell’evitare di persistere in questa comparazione ormai così lontana nel tempo e divenuta forse una sorta di “maledizione” per il nostro.
In quest’ottica, un buon disco, assolutamente non innovativo ma di sicuro piacevole … certo che quel passato, però … vedete quanto è difficile?
Recensione a cura di Marco Aimasso

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