Appena inserito il cd e premuto il tasto play sul lettore… ehm, no scusate, è l’abitudine degli anni passati a parlare. Dicevo, appena caricato il file nella libreria di Groove e cliccato sull’icona del play veniamo accolti da un leggero rumore di pioggia a cui quasi subito segue un triste arpeggio di chitarra che ci accompagna per qualche tempo fino al ridestarsi di tutta la sezione ritmica, poderosa e vibrante, furiosa e brutalmente melodica come soltanto il buon vecchio death scandinavo sa essere.
“Eremophobia”, questo il titolo dell’opener, racchiude nei suoi 8 minuti una piccola preview di quello che sarà il resto del debutto sulla lunga distanza per gli
Shadecrown, finlandesi nell’animo e nelle note.
“Agonia” è un piccolo scrigno intarsiato in modo splendidamente diverso per ogni lato che ci mostra, anche se al buio sembra perfettamente armonico ed equilibrato nelle forme e nei colori. Un oscuro contenitore che divora la luce intorno a sé come un buco nero. Il titolo del resto dice quasi tutto sulle intenzioni musicali del gruppo fondato dal tastierista e compositore
Saku Tammelin nel 2012.
Il tappeto sonoro creato dal duo
Vesamaki/Niemonen va a pescare da diversi generi dell’ambito più estremo e si muove abbastanza agevolmente tra death tipicamente nord europeo, thrash vecchio stile e doom, non disdegnando un po’ di sano heavy metal classico. Ecco che quello che ci troviamo ad ascoltare è un album variegato, eclettico (per quanto possa essere adatta questa definizione in campo death), se vogliamo anche abbastanza sorprendente e perfino “catchy” in alcuni momenti più rilassati e melodici come in
“The Ruins of Me” e
“Tear-Stained Heart”.
Si vede che gli
Shadecrown hanno studiato tanto il passato, sia remoto che prossimo, visto che gli ingredienti buttati nel frullatore hanno il gusto forte di band storiche di ogni genere citato, dai primi
Tiamat e
Paradise Lost, passando per
Megadeth, Testament, Death &Co. Aggiungiamo a tutto questo la voce di
Jari Hokka che sembra provenire direttamente dal doom più tetro e profondo, il lavoro preciso e potente alla batteria di
Kalle Varonen, una notevole spruzzata di tastiere non invadenti e gustiamoci un cocktail con un sapore deciso e tutto sommato abbastanza personale.
La produzione è buona. Non ottima, perché a mio parere i suoni sarebbero potuti essere meno chiusi, ma probabilmente questo è dovuto a una precisa scelta stilistica e quindi non può certo essere annoverato tra i difetti.
L’unico neo che riesco a trovare è forse una leggera monotonia nelle linee vocali che seppur aiutate da passaggi puliti, non sempre sono all’altezza nel dare il tocco in più alle canzoni.
Un debut di un certo spessore per un gruppo giovane che va tenuto d’occhio, soprattutto se punta ancora più forte sull’imprevedibilità e la personalità e non si accontenta del risultato raggiunto con
“Agonia”.
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