Gli
Amaranthe non sono metal.
Forse lo sono stati agli albori della loro avventura almeno nelle intenzioni, ma ora ne sono più lontani di quanto lo sia
Kepler-22b dalla nostra Terra. La percentuale di contaminazione dance/pop è salita in maniera esponenziale e incontrollata già nel loro terzo lavoro,
“Massive Addictive”.
“Maximalism” riesce ad andare addirittura oltre il suo predecessore. In questo album gli altri generi fanno il possesso palla stile Barcellona mentre il buon vecchio metal si deve accontentare di recuperare qualche pallone e ripartire in contropiede. Del resto le parole di
Olof Morck sono chiare che più non si può:
“
Maximalism è il nostro manifesto al mondo. Siamo realmente entusiasti del nuovo materiale, senza dubbio la nostra raccolta più varia di sempre. Il nostro modern metal affilato resta intatto naturalmente, ma è fuso con un ventaglio di generi ancora più ampio di prima… c’è di tutto,
rock da stadio, pop innovativo e hit ballabili. Aspettatevi che questi brani entrino per sempre nella vostra mente!”
Ecco, questo più che un manifesto mi sembra una dichiarazione di guerra. Non puoi parlare di metal e contemporaneamente di pop e hit ballabili. Non puoi punto e basta. La contaminazione di generi è sempre stata uno dei punti forti del nostro genere, quella che negli anni gli ha dato la capacità di evolversi e non morire del tutto. Dal blues alla musica classica, dal jazz all’elettronica, non c’è gruppo che non abbia inserito in almeno una delle sue canzoni un frammento rubato a realtà lontanissime.
Gli
Amaranthe invece hanno lasciato sempre più spazio alle influenze esterne, arrivando al punto in cui i frammenti sono diventati interi dipinti. E qui il discorso di
Morck cade a pezzi. Il loro trademark non c’è più se non in tre canzoni su 12, tutto il resto è off-road e viaggia su territori enormemente diversi e pericolosamente azzardati. Non bastano le chitarrine distorte e la voce incazzata per restare ancorati al modern metal di cui si definiscono ancora paladini.
Dare un giudizio obiettivo a questo disco è complicato. Se da un lato abbiamo una produzione perfetta, canzoni suonate bene e una
Elize Ryd che quando deve fare la cantante pop è perfettamente a suo agio, dall’altro abbiamo davanti canzoni a tratti imbarazzanti e totalmente fuori contesto.
“Boomerang” “That Song”, “21”, “On the Rocks”, “Limitless”, “Faster” e
“Endlessly” sono state “prese in prestito” dagli scarti degli scarti degli scarti degli scarti di
Christina Aguilera, Britney Spears, Rihanna, Madonna, Katy Perry e “arricchite” con arrangiamenti più duri per poter agevolmente restare con il piede in due scarpe senza farsi troppo male. Si salvano giusto la title track per la coerenza con il passato, la bella
“Break Down And Cry” e
“Supersonic”, in cui la contaminazione è reale e dosata bene. Ma stiamo parlando del 3 su 12 di prima. Pochissimo.
Il problema è che qui non si riesce a trovare della buona musica, qualunque sia il genere di riferimento. Le canzoni suonano discretamente bene quando gli Amaranthe fanno gli Amaranthe, ma sfiorano il ridicolo quando vogliono essere la nuova pop sensation mondiale che nessuno al di fuori del mondo metal ascolterà mai se non per puro caso. Sa tutto di plasticoso e preconfezionato, se possibile ancora più di prima. Fastidiosi, finti e a questo punto irrecuperabili. Peccato, ma anche no.
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