Ancora un altro eccellente esempio di Adult Oriented Rock (o se volete Album Oriented Rock, ma personalmente ho sempre preferito la prima definizione) piuttosto classico, che tramite il consueto lavoro attento e competente della nostrana Frontiers, raggiunge i nostri apparati uditivi, che non chiedono altro di lasciarsi sedurre nuovamente da melodie irresistibili, voci cristalline e chitarre vigorose.
Robbie e Brian La Blanc, proseguono la tradizione dei grandi fratelli del rock (qualche esempio? Van Halen, Nelson, AC/DC, Black Crowes, Anathema, Kings Of Leon … ehm Oasis …) aggiungendo probabilmente anche la componente d’affiatamento “genetico” al loro notevole repertorio, che pur citando le eminenze Journey, Foreigner e Survivor, si dimostra spumeggiante ed accattivante, mettendo in campo quel dono innato nel songwriting in grado di convincere anche il fan di A.O.R. più smaliziato.
Svariate collaborazioni, tra cui quelle con il noto compositore / arrangiatore Rupert Holmes, membri dei Toto, Ronnie Spector e con il produttore Arif Mardin (Bee Gees, Aretha Franklin, Phil Collins …), costituiscono la base “formativa” dei La Blanc brothers, che in questo disco si dedicano anche alla produzione, avvalendosi di Dennis Ward (Pink Cream 69) per la fase di mixaggio, dei batteristi Kyle Woodring (Dennis De Young, Survivor, John Mellencamp) e Tony Archer, di Jeff Batter alle tastiere e dell’ottimo Butch Taylor alla chitarra solista.
Eighties A.O.R. di grandissimo spessore, dunque, che a tratti può ricordare, oltre ai già citati “mostri sacri”, anche i favolosi Signal, in un disco dove le trame melodiche sono sempre armoniose, avvincenti e tecnicamente impeccabili, ma in cui a fare la differenza è la straordinaria voce di Robbie, caratterizzata da quel “soffio” e da quella passionalità che sa anche mostrare i “muscoli”, assolutamente imprescindibile per queste coordinate sonore.
Il tempo medio “Here’s to you” prepara in modo piuttosto adeguato alle meraviglie che lo seguono e che si chiamano “Edge of the world”, “We’ll make the best of it” (vicina allo stile di John Waite), “Stranger to love” (una ballata che, con le migliori connotazioni tradizionali del genere, si dimostra semplicemente incantevole), “It's a little too late”, “Where do I go from here” (bellissima davvero), “Pray for me” (altra slow song molto emozionale dal refrain impedibile, che potrà sciogliere anche alcuni irriducibili “hearts of steel”), “Sorry for the heartache” (un “frizzoso” up-tempo), “We will rise”, con il suo afflato soulful suadente e persino la maggiore scontatezza della grintosa “Staying power”, grazie soprattutto al talento portentoso del singer, acquisisce forza, qualità ed attrattiva.
“Blanc Faces” è un disco che deve essere prima di tutto “ascoltato” con il cuore e poi coinvolgere tutti gli altri organi più abitualmente deputati a quest’operazione … il rock “adulto” ha un nuovo importante rappresentante e se questo suono è considerato “vecchio” e “sorpassato”, beh è una di quelle volte in cui essere tacciato di “vetustà” e “anacronismo”, non m’infastidisce affatto … e poi non è forse vero che la buona musica non passa mai di moda?
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