Se non fosse per il senso di profonda amarezza arrecato dall’ascolto (prolungato) del disco, ci sarebbe da sorridere constatando l’ironia inconsapevole con cui
Geoff Tate intitola questa seconda prova dei suoi
Operation: Mindcrime.
Parlare di “resurrezione”, con un passato come quello di
Tate e dopo il “pasticciaccio brutto” (per dirla alla maniera di
Gadda) di “
The key” (senza parlare di “
King & thieves”, “
Dedicated to chaos” e “
Frequency unknown”), vorrebbe dire ammettere i propri errori e ritornare sulla “retta via”, mentre in “
Resurrection” assistiamo a una prepotente manifestazione di
coerenza, con tutti i limiti espressivi insiti in una scelta del genere.
Coraggio, volontà di sperimentazione, tenacia nel sostenere le sue idee senza subire condizionamenti “esterni”, sono aspetti che rendono il cantante americano un artista “tutto d’un pezzo”, incapace però di trasformare tanta determinazione e integrità in una proposta musicale consistente, convincente e appagante, assecondato nell’impresa da un talento che forse a questo punto si è irrimediabilmente esaurito.
L’opera è un altro guazzabuglio di suoni parecchio confusi, che, partendo da brandelli dell’intoccabile storia del nostro (espandendo altresì i temi socio-politici del capolavoro assoluto dei Queensryche da cui il gruppo in questione mutua,
impunitamente, il suo
monicker ...), vorrebbero essere innovativi e invece finiscono spesso per lambire la soglia della molestia.
Alla fine non c’è molto da salvare … la voce
Bowie-esca di
Geoff, ridimensionata nell’estensione ma sempre formidabile per carica interpretativa e carisma, e qualche brano tutto sommato accettabile (“
Left for dead”, la bella “
The fight”, “
Invincible” e, in taluni spunti, la cangiante “
A smear campaign”), all’interno di un panorama compositivo ed espositivo abbastanza desolante e sconfortante.
Da rilevare, inoltre, la presenza di
Tim “Ripper” Owens e
Blaze Bayley in “
Taking on the world”, per una sorta di
club di “
nobili decaduti della fonazione modulata” impegnato in una prova di discreta efficacia complessiva.
Non mi sento di aggiungere altro … di fronte a tali scempi, probabilmente l’atteggiamento migliore è il silenzio, anche per onorare in qualche modo l’enorme debito di riconoscenza che nutro nei confronti dei “veri” Queensryche … altro che “
Resurrection” … “
resignation” sarebbe stato certamente un appellativo più confacente al mio attuale stato d’animo.