Avevo perso per strada i
30 Seconds to Mars più o meno 10 anni fa, poco dopo l’uscita del secondo album “A Beautiful Lie” e qualche anno dopo l’ottimo esordio omonimo, che aveva catalizzato l’attenzione della critica specialistica grazie, ma non solo per, al coinvolgimento di
Jared Leto, ai tempi già famoso attore grazie a interpretazione quali “Fight Club”, su tutte.
Scusate, se potete evitare di disturbare, starei scrivendo una recensione, grazie.Dicevo, persi di vista e ritrovati con piacere in questo 2016, anche se il nuovo album era previsto per l’anno prossimo..ma si sa, meglio anticipare i tempi. Cambia anche il nome, che diventa “
Battles”, in un richiamo allo spirito battagliero che permea questo disco.
Il sound è fondamentalmente un ritorno alle origini, in particolare nella parte centrale del disco, dove le sonorità di inizio millennio della band si fondono con quelle del nu-metal, in particolare con i P.O.D. di Sonny Sandoval, soprattutto per l’uso dei cori fanciulleschi qua e la nei brani, à-la “Youth of the Nation” tanto per intenderci.
Che c’è? Perché continuate a farmi quei gesti, al di là del vetro? Non capisco..comunque dai, vi do retta dopo.Scusate, ma continuano a disturbarmi e non capisco proprio il perché. Tornando a noi, i primi brani di “Battles” ci presentano una band molto più aggressiva del passato, con un Leto che azzarda addirittura alcune parti in growl e in scream, ricordando vagamente gli In Flames più soft da “Reroute to Remain” in avanti, tanto per intenderci. Se il paragone con la band svedese vi sembra azzardato, pur limitandosi alla fase maggiormente “alternative” di Fridén e soci, state tranquilli: fatta esclusione per “
Drained” e “
The End”, le parti aggressive si limitano a qualche apparizione sporadica ma gradita, che contribuiscono a rendere un po’ più frizzante il sound altrimenti eccessivamente radio-friendly della proposta californiana.
Il resto del disco è un saliscendi di momenti alternative e a volte al limite del –core, piacevoli dal punto di vista prettamente musicale ma un po’ poveri da quello del songwriting, che a volte risulta banalotto e già sentito. Globalmente però ci troviamo di fronte a un ritorno soddisfacente per Leto e..e..
..E basta, avete rotto il ca##o! C’è gente che sta lavorando qui! Ora vi apro..un attimo..ecco, ditemi. Ah..cioè questi non sono..ho sbagliato disco..capisco..sarebbero invece? Seriamente? Ma vaffanculo.Niente, cancellate tutto. Non sono i 30 Seconds to Mars. Sembrano i 30 Seconds to Mars, a tratti ricordano i P.O.D. ma sono gli
In Flames. Gli In Flames che, nel 2016, cercano di cavalcare l’onda metalcore attingendo all’alternative metal di una decina abbondante di anni fa, in una rivisitazione del progetto Passenger che tante gioie aveva dato al buon
Anders Friden esattamente 13 anni fa. TREDICI.
Ripeto quanto detto per i Sonata Arctica solo un paio di mesi fa: gli In Flames sono morti, precisamente 6 anni fa con il sofferto addio di Jesper Stromblad. Da lì, 2 album di merda e questo “
Battles”, un album sicuramente sufficiente ma che lo sarebbe solo sotto un altro moniker, senza dubbio non sotto quello di una band che ha fatto la storia del melodic death metal.
Quoth the Raven, Nevermore..