Dopo uno stop di ben sette anni dal precedente secondo album "
Thorns In Existence" del 2009, ma senza aver tenuto troppo le mani in mano dato che stiamo parlando di membri più o meno attivi con band del calibro di
Enslaved,
Gorgoroth,
Aeternus, e
Vulture Industries, tornano i norvegesi
Sulphur che con il loro terzo album completano la loro virata dai territori puramente black metal degli esordi ad una sorta di deathblack alla
Dissection ma con qualche caratterizzazione personale non proprio canonica, talvolta psichedelica, talvolta più doom, a volte quasi progressiva in senso lato, insomma ai cinque di
Bergen il coraggio non manca davvero, e meno male potremmo dire dato che l'abilità dei nostri gli consente non solo di uscire indenni da tali sperimentazioni ma probabilmente di produrre una musica più particolare, distinguibile: è il caso, tanto per citarne una, di "
Gathering Storms", appunto una tempesta black metal sulla quale improvvisamente fa sfoggio di se' un assolo di scuola classic rock settantiano che detta così fa rabbrividire ma vi assicuriamo che non solo ci sta bene ma che conferisce un qualcosa in più che male non fa; anche perchè, diciamocelo pure che non muore nessuno, a livello puramente deathblack i Sulphur non sono certo male, ma nemmeno memorabili, e quindi presentare un disco totalmente incentrato su blastbeat e ferocia avrebbe comportato un risultato solo mediamente apprezzabile.
Quello che invece non siamo riusciti a digerire totalmente (eufemismo per dire che la troviamo pessima) è la produzione di questo "
Omens of Doom", forse appositamente lo-fi, non lo sappiamo, ma il risultato non è propriamente all'altezza: suoni troppo flebili, impatto dimezzato, voce bassissima registrata in cucina anzichè in sala di registrazione...insomma, qualcosa non va.
Passi il tutto nei sopracitati momenti onirico-psichedelici a-la "
Devils Pyre" che il tutto ci sta anche bene, ma quando si decidono a picchiare di brutto ed il risultato letteralmente "non esce" dalle casse beh...non possiamo che rimanere delusi in merito.
Alla fin della fiera un disco che trova le sue peculiarità nelle contaminazioni che i
Sulphur hanno saggiamente deciso di includere nel loro sound al fine di non essere risucchiati nel maelstrom del blackdeath ma così facendo si è creata una dicotomia, peraltro nettamente amplificata dal problema inerente la produzione, piuttosto accentuata tra la componente estrema e quella doomosa lisergica: a voi la chance di superarla agevolmente tramite la vostra famigerata open-mindeità e di scoprire quindi una band coraggiosa e senza dubbio preparata o solo l'ennesimo lavoro più che sorvolabile in un panorama che tra morti, suicidi e carcerazioni, sembra aver detto tutto, anche al di fuori della mera produzione musicale.
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