Era abbastanza improbabile che una collaborazione tra
John Roth (Winger, Starship, Giant) e
Terry Brock (Strangeways, Giant, The Sign, Seventh Key, Leroux) potesse dare origine a un disco poco competente e approssimativo, ma francamente non nascondo che qualche dubbio, come spesso accade in queste circostanze, sull’intensità espressiva e sulla “spontaneità” emotiva dell’opera, lo nutrivo.
Ebbene, i due esperti musici (e i loro coadiutori) sorprendono per la
verve con cui realizzano una cinquantina di minuti di musica molto rigorosa eppure assolutamente godibile, fatalmente devota ai crismi dell’
hard melodico
yankee (tra i riferimenti principali citerei Night Ranger, Survivor e gli stessi Giant, che con il loro “
Promise land”, occasione in cui i nostri hanno avuto il primo contatto professionale, sono stati “galeotti” per la nascita del gruppo) eppure ben lontana da una svigorita riproposizione di temi noti.
Il
Roth Brock Project coniuga tecnica e capacità di coinvolgimento e poco importa se le modalità operative utilizzate suonano parecchio “familiari”: il
riff frizzante e la linea melodica incalzante di “
Young gun” garantiscono un contagio istantaneo e lo stesso effetto lo assicurano le combustioni
hard-blues e il
chorus anthemico di “
What's it to ya” e l’ardore incontenibile di “
Young again”, un momento di arioso
AOR irrorato da copiose dosi di
feeling.
La Survivor-
iana “
If that's what it takes” (con un
Brock sugli scudi) prosegue imperterrita nella prodigiosa operazione di soggiogamento e quando arriva l’enfatico
slow “
I don’t know why” la convinzione che “
Roth Brock Project” possa concorrere senza troppi patemi per il “trono” annuale di categoria, comincia a consolidarsi.
E non basta la ballata “
Distant voices”, piacevole e un po’ scontata, a sgretolare le succitate valutazioni, poiché la grintosa “
We are” conquista i sensi con una ricetta armonica semplice e altrettanto gustosa, “
Fighter” evoca con gusto sopraffino le illustri cavalcate di un certo
Ranger americano e “
My city” vola alta nelle stratosfere del
rock adulto più prezioso ed emozionante.
Ancora scosse piuttosto intense dalla vagamente Winger-
esca “
Never givin' up”, mentre all’
hard raffinato “
Reason to believe” viene affidato il compito di chiudere le “ostilità” attraverso un’ulteriore dimostrazione di come si possa essere estremamente efficaci anche sfruttando armi poco “rivoluzionarie”.
In conclusione, il mio consiglio è di accantonare ogni eventuale “pregiudizio”, e di affidarsi con serenità all’eccellenza di un “progetto” che non manifesta nemmeno l’ombra dei connotati negativi che normalmente si associano in ambito artistico a tale termine … e a questo punto speriamo altresì che non si tratti di un’apparizione nella “scena” effimera ed estemporanea, dacché sono fermamente convinto che la brillante sinergia tra
Roth e
Brock possa regalare altri momenti di grande soddisfazione
cardio-uditiva ai tanti appassionati del genere.
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