I Doc Holliday, southern band di Macon, Georgia, sono in giro da molto tempo, precisamente dal lontano 1981 anno del loro debutto omonimo che riuscì ad entrare nella Top 30 di Billboard. Erano gli anni d’oro per la musica sudista, ma l’epopea gloriosa fu troppo breve e già nel 1984, dopo altri due buoni albums il gruppo si sciolse.
Da quel momento ci sono state ciclicamente numerose reunion ed altri quattro lavori, in periodi però di scarsa fortuna per questo stile di musica . Possiamo certamente considerare i georgiani una leggenda rock, visto il lungo tempo di militanza sulle scene, ma io preciserei, senza voler mancare di rispetto, di una degnissima “seconda fascia” southern, dietro ai mostri sacri che hanno creato questo filone ed al pari di altre bands da noi poco conosciute come April Wine, Stillwater, Poul Harvey Band ecc. Adesso è il momento giusto per un nuovo tentativo, i tempi sono maturi perché una parte della nuova ondata stoner americana ha riscoperto e rivisitato il rock boogie delle origini e persino nel Nord Europa, dove i Doc hanno ottenuto importanti successi di vendite, c’è nuovo fermento per l’hard rock schietto e potente, vedi l’eccitante debutto degli svedesi Backdraft.
Quindi gli attempati pistoleri estraggono questo “A better road”, un collage di brani vecchi e nuovi, che si apre curiosamente con una cover dei Thin Lizzy “Jailbreak”, già pubblicata sul tributo a Phil Lynott, che non ha bisogno di molti commenti, hard rock allo stato puro e omaggio ad una delle più grandi rock band di sempre. Ottimo inizio. “Good boy…” è southern più tradizionale, dixie sound con tanto di fiati e cori femminili, meglio “Faith in you” eccellente rock duro sostenuto dal preciso drumming e punteggiato da un hammond molto bluesy, brano che ricorda qualcosa dei Deep Purple.
Un gruppo come questo non può far mancare degli anthems fiammeggianti con le chitarre in primo piano, musica per bikers e per serate alcoliche e qui possiamo scegliere tra “Crazy” “Bed love” e soprattutto “Can’t stop rockin’”, un bollente turbine di assoli e groove a livello dei migliori Outlaws. Anche la vena melodica viene esaudita con la title track acustica, tradizionale, quasi country con tanto di banjo e armonica, ed anche la seguente “Angels in waiting” è una ballad molto radiofonica, ma appare evidente l’imitazione di Bob Seger persino nelle parti vocali e si poteva senz’altro evitare.
Infinitamente superiore “Dead man’s road”, versione elettrica di un brano del cd “Legacy” del 1996, sofferta e ricca di pathos, con una stupenda guitar solista sugli scudi, lentaccio perfettamente riuscito.
Poteva mancare nel finale una song ispirata a “Freebird”? Certo che no! Ci pensa il vecchio classico dei Doc “Lonesome guitar” a riproporre il solito schema efficace, partenza lenta e d’atmosfera che sfocia in un vortice chitarristico di sicura presa, la scuola dei Lynyrd è proprio immortale! Valutato tutti i brani, finalmente un ritorno dal passato che non puzza di affare commerciale, questa è una band seria che propone un solido disco hard rock sudista come fossimo ancora negli anni 80, duri puri e convincenti. Per chi ama il suono confederato senza compromessi è un album da avere sicuramente.
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