A qualche mese dalla ristampa su
Cd del favoloso debutto dei
Crossbones,
Dario Mollo rispolvera il suo “primo amore” artistico e, sotto l’egida dell’antico
monicker (in forma personalizzata), sforna un dischetto davvero godibile, perfetto per assecondare i gusti di tutti gli estimatori dell’
hard-rock “classico”.
Dopo
Giorgio Veronesi (
vocalist originale della
band) e le collaborazioni con colossi del calibro di
Tony Martin (nel progetto The Cage) e
Glenn Hughes (nei Voodoo Hill), è oggi un altro veterano della fonazione modulata come
Carl Sentance (Nazareth, Krokus, Persian Risk, Paul Chapman's Ghost, Don Airey Band, ma anche gli ingiustamente poco noti Power Project, al fianco di
Carlos Cavazo,
Vinny Appice e
Jeff Pilson) ad accompagnare il chitarrista ligure nelle sue vivaci scorribande musicali all’insegna di un amore viscerale per Rainbow, Deep Purple, Dio e MSG, un sentimento sicuramente radicato e tuttavia mai “cieco”.
Non aspettatevi, dunque, esibizioni
xerografiche e sfacciate contraffazioni,
Dario e i suoi
pards (completano la
line-up il fedele
Dario Patti e lo storico batterista della formazione
Ezio Secomandi) sono troppo bravi, talentuosi e smaliziati per cadere in una “trappola” fin troppo affollata: “
Rock the cradle” sa trattare la materia con personalità e tensione espressiva, offrendo all’uditorio un’interpretazione parecchio vitale dei dogmi del genere.
L’ottima prova di
Sentance marchia a fuoco il programma almeno quanto la vibrante e cristallina chitarra di
Mollo, dando origine a una
partnership che appare assai equilibrata ed efficace, capace di manifestarsi in tutto il suo splendore fin dall’
opener “
Red”, brano caratterizzato da pulsanti cadenze armoniche e da un cantato pregno di ammalianti riverberi
Bonnet-eschi.
L’ascolto prosegue molto piacevolmente con la sollecitudine Rainbow-
iana concessa a “
Take me high”, con la densità metallica di “
Navigation” e con il tocco “moderno” della
title-track, un buon esempio di come si possa onorare la tradizione senza per questo venirne schiacciati.
“
Gates of time” aggiunge un’emozionante contributo di esotica enfasi all’albo, “
I got this feeling” mescola “ruffianeria” e un pizzico di contaminazione sonora, mentre la cangiante “
In my blood” arriva addirittura a rievocare qualcosa dei Queensryche.
Rush finale riservato alla solo gradevole “
Running from the shadow”, alla didascalia
Porpora di “
Speed” e alle vaporose caligini di “
Fright”, che riportano l’impatto attrattivo su livelli parecchio elevati.
Il ritorno dei
Dario Mollo’s Crossbones è ispirato e “saggiamente” creativo e per queste ragioni piace e convince … speriamo che il mercato discografico, sempre più enigmatico e confuso, lo accolga in maniera tale da garantire al gruppo una meritata “sopravvivenza”.
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