I
Madder Mortem sono un gruppo che meriterebbe una considerazione ben superiore a quella ottenuta finora. L’ho sempre pensato e oggi che ascolto questo “
Red in tooth and claw”, ennesima gemma in una discografia in pratica irreprensibile, le mie convinzioni ne escono rafforzate.
Non è difficile individuare le cause di una situazione “incresciosa” come questa … artisticamente troppo lontani dalle logiche di mercato e introversi per natura, i norvegesi sono tra le poche creature musicali ancora in grado di guardarsi attorno con gli occhi e il cuore avidi di una curiosità fanciullesca, capaci di non porsi limiti creativi e senza la spocchia di tanti sedicenti
progressisti.
In questo ricordano gli Atrox (almeno fino al favoloso “
Orgasm”), conterranei dall’analogo destino, ma se non conoscete né gli uni né gli altri, diciamo che la proposta dei nostri è una frastornante mistura di generi (
progressive,
nu-metal,
psych,
gothic,
alternative rock, …) assolutamente libera da pastoie eppure anche enormemente magnetica fin dal primo contatto (magari dal secondo
va …), pulsante di energia, forza espressiva e di una prepotente capacità straniante.
Forse anche più “immediati” che in passato, i
Madder Mortem per il loro debutto targato
Dark Essence sfornano un dischetto abbagliante per intensità e varietà, concepito da musicisti straordinari, ognuno intento a esplorare a fondo le potenzialità del proprio strumento e poi concedere il risultato di tale studio ad arrangiamenti profondi, eclettici e geniali, omogenei nonostante la molteplicità dei temi proposti e delle suggestioni soniche.
Una menzione particolare la merita
Agnete M. Kirkevaag, voce strepitosa e carismatica della
band nordica, dotata di uno “attrezzo del mestiere” camaleontico, penetrante e ammaliatore, quasi nella sua laringe si dibattessero concitatamente i registri di
Kari Rueslåtten,
Lisa Dalbello,
Serj Tankian,
Grace Slick e
Mike Patton.
Isolare alcuni momenti del programma e tentarne un’esegesi è francamente un’impresa improba, al limite dell’impossibile … potrei riferire dell’impatto emotivo devastante di “
Blood on the sand”, del suono epico e liquido di “
If I could”, del tocco “commerciale” del singolo “
Fallow season” o ancora della schizofrenia di “
Pitfalls”, delle inquietudini di “
All the giants are dead”, della scorticante “
Parasites” e di una “
Underdogs” (con
Agnete artefice di un’esibizione tecnico-interpretativa davvero prodigiosa …), che punta dritta al centro dei sensi, ma la verità è che quest’albo va accolto come un’entità complessiva e “vissuto” come un misto di realtà, poesia e pensiero che rimanda direttamente al “flusso di coscienza” di
Joyce-iana memoria.
Se vi piacciono Opeth, Leprous,
Devin Townsend e Katatonia, perché non concedere una
chance anche ai meno celebrati
Madder Mortem? Scommetto che non rimarrete delusi …
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