Dopo l'EP
"Outlaws" del 2013, i romagnoli
Hellbound riescono finalmente ad esordire con
"Stories", il loro primo album di lunga durata, che il gruppo etichetta, non a torto, come southern groove metal.
Se è vero, infatti, che l'influenza dei Down e dei Pantera, di questi ultimi ricordo che i Nostri agli esordi erano cover band, è abbastanza evidente soprattutto a livello di riffing serrato e compatto, è altrettanto evidente che la proposta del quartetto manifesta una chiara fascinazione per il rock "sudista" e le atmosfere polverose, elementi questi ultimi che rendono la loro proposta certamente meno estrema dei gruppi di Phil Anselmo, ma non per questo poco interessante.
Gli
Hellbound puntano molto sul groove dei pezzi, e credo non potesse essere diversamente visto il genere, e danno vita ad una serie di brani robusti, metal a tutti gli effetti, ma anche ricchi di variazioni melodiche, soprattutto in fase di assolo di chitarra (elemento che io avrei sfruttato molto di più), a brani che, dunque, incedono lenti, a volte monocordi, ma non monotoni, duri e maschi anche grazie all'efficace growl di un singer capace, inoltre, di vocalizzi puliti altrettanto validi che, al pari degli assolo, avrei utilizzato maggiormente perché in grado di personalizzare maggiormente la proposta.
"Stories", dunque, al netto del fatto di non essere una proposta particolarmente innovativa, ma con ampi margini di miglioramento proprio sotto questo aspetto, è comunque un disco sincero, sudato, virile e, non dimentichiamolo, di buonissimo valore.
In breve, un disco metal con le palle.
Se vi basta, ascoltatelo.
Se non vi basta, che cazzo ci fate qui?
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