Ho appena finito di parlare con un amico dell’abbondanza di band che per forza ci vogliono portare indietro di quasi 40 anni e mi ritrovo tra le mani i
Gravebreaker, 100% aggrappati al carrozzone dell’old school heavy metal, per la verità ormai colmo ben oltre l’orlo della genuinità e sempre più sul baratro del ridicolo.
“Sacrifice”, questo il titolo dell’album, esce sotto l’egida della
Gates Of Hell Records, che ci presenta la band come una bestia musicale che condivide il suo DNA con progenitori altisonanti quali
Accept, Rising Force, Black Sabbath, Mercyful Fate, Dio e
Motörhead e che non ha lasciato niente al caso nella sua quest alla ricerca dei suoni originali dell’heavy metal. Non voglio neanche soffermarmi e polemizzare sull’esagerazione degli accostamenti a band il cui spessore era ed è ancora un miliardo di volte quello dei
Gravebreaker, essendo chiaramente una mossa dettata dal marketing, ma questa cosa della ricerca delle origini mi ha lasciato con un sorriso coperto da un velo di tristezza.
Che significa ricerca delle origini? A mio parere è una tappa obbligatoria per qualunque musicista che voglia cimentarsi prima o poi nel songwriting, per poter prendere ispirazione dai grandi del passato o semplicemente per allargare il proprio background. La bravura e anche la grandezza dei migliori gruppi in giro sta nella capacità di attingere a tali fonti e nasconderle con sapienza nella visione personale della musica. Ed è dannatamente difficile e bellissimo allo stesso tempo. I
Gravebreaker, come tanti altri oggi, hanno scelto la strada facile della riproduzione fedele delle origini senza apportare assolutamente nulla di caratterizzante alle loro canzoni.
Non c’è molto da dire, se conoscete e apprezzate il metal dei primi anni ottanta sapete esattamente cosa troverete in questo
“Sacrifice”, compresa una produzione pari a quella di un demo di scarsa qualità, perle di saggezza come
“666 power to the beast” e tastiere di una bruttezza tanto imbarazzante che in confronto
Sandy Marton sembra
Jordan Rudess.
Tutto qua. Consigliato soltanto a chi è rimasto con la mente, il cuore e tutto il resto negli anni 80 (che mi odierà a morte dopo questa recensione). Peccato, perché si è perso tanta roba.
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