A scanso di equivoci, meglio dirlo subito: non sono un grande fan dei lenti dei
Magnum. A mio avviso non hanno mai retto il confronto con le ballad inarrivabili dei Whitesnake di
David Coverdale o anche solo dei (sottovalutatissimi) Ten di
Gary Hughes.
Premessa doverosa, che indubbiamente lascia un po’ il tempo che trova dato che, comunque, in questa sede c’è da parlare di
“The Valley Of Tears - The Ballads”, un’opera ispirata dalla figlia di
Tony Clarkin (mannaggia a lei) che racchiude il meglio della produzione “strappalacrime” degli inglesi dalle origini (più o meno) ai giorni nostri.
Tra riregistrazioni e semplici rimasterizzazioni, c’è spazio per tanti album della band (
“Breath Of Life”, “Rock Art”, “Escape From The Shadow Garden”, “Sleepwalking”, “Into The Valley Of The Moonking”, “Sacred Blood Divine Lies”, “Vigilante”, “The Visitation”, “On The 13th Day”) ma, forse, non per i più significativi (
“Kingdom Of Madness”, “On A Storyteller’s Night”, “Wings Of Heaven”).
Sulla scelta delle tracce, poi, ho più di una perplessità: le strutture sono sempre quelle, i giri armonici pure, i suoni manco a dirlo (dall’immancabile pianoforte di
Mark Stanway al rullante della batteria che, troppo spesso, dura non meno di 20/30 secondi, uno “sparo” campionato praticamente, e dal quale, in seguito alla percussione della bacchetta, si alza uno zampillo d’acqua o farina, fate voi, davvero molto Eighties).
Per carità,
Bob Catley e i
Magnum non si toccano, sono il primo a dirlo, ma non percepisco una reale necessità di un’uscita di questo genere. Là fuori è davvero così pieno di inguaribili nostalgici pronti a sfoderare il fazzoletto e farsi un bel pianto con
“When The World Comes Down” a tutto volume? Forse sì, chissà…
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