Copertina 7

Info

Genere:Death Metal
Anno di uscita:2015
Durata:47 min.
Etichetta:RMN Music

Tracklist

  1. APOLOGIA DI UN POVERO DIAVOLO, PT. 1
  2. ASHLAND
  3. RESONANCE FREQUENCY
  4. DER GROSSMANN
  5. IN NO MAN'S MEMORY
  6. APOLOGIA DI UN POVERO DIAVOLO, PT. 2
  7. THE COURT OF OWLS
  8. IN MY DEEP

Line up

  • Omar Durante: vocals, guitars
  • Andrea Simioni: bass
  • Daniele Varlonga: drums
  • Lorenzo Moffa: guitars

Voto medio utenti

Anche se da alcuni anni a questa parte gli Opeth hanno preso una strada piuttosto diversa da quella delle origini, là fuori è pieno di interessanti epigoni pronti a proseguire il discorso interrotto da Åkerfeldt e soci con "Watershed".

Il death metal melodico/progressivo degli italianissimi Proliferhate deve molto a dischi come "Blackwater Park" o "Ghost Reveries" e, nonostante alcuni momenti talvolta troppo derivativi, ha un suo indubbio potenziale.

L'iniziale "Apologia Di Un Povero Diavolo, Pt. 1", che inizia soffusa, alterna momenti tecnici (non sempre perfetti nell'esecuzione) ad altri più doomeggianti ed evocativi (in particolare nelle sezioni narrate). Notevole la prestazione di Omar Durante, cantante più convincente sul growl che sulle parti melodiche (che mi hanno ricordato le linee vocali di Serj Tankian dei System Of A Down). "Ashland" è più lineare e rocciosa, con un bel break simil-blues (definirei solo "un po' invadenti" le timbriche del basso). "Resonance Frequency", pur rimanendo saldamente ancorata a territori estremi, mostra il lato più thrash della band, con un'atmosfera alla "One" dei Metallica, mentre la successiva "Der Grossmann" (uscita originariamente come singolo digitale) brilla per la dinamicità della struttura. La strumentale titletrack, morbida e dal retrogusto alternative, anticipa la più articolata e progressiva "Apologia Di Un Povero Diavolo, Pt. 2", spigolosa ma caratterizzata anche da buone aperture melodiche. "The Court Of Owls" è sinistra e ipnotica, un po' come "The Baying Of The Hounds" dei sopraccitati Opeth, e risulta leggermente prolissa nella curiosa coda recitata a mo' di messa nera. La brevissima traccia conclusiva "In My Deep" ci consegna uno sperimentale minuto di sound design a mio avviso non molto ficcante nel contesto del full-length.

Come esordio non c'è male, davvero: punterei su un'esecuzione più chirurgica (siamo nel 2017, purtroppo conta anche questo), una produzione un po' più definita (ma quello è il meno) e, perché no, il coinvolgimento di un tastierista per espandere ulteriormente la tavolozza di sonorità. Chiedo troppo?
Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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