Quando si dice continuità…
In occasione della seconda fatica discografica, i
Wiegedood ci propongono:
- medesimo titolo della prima (il “
II” non vale);
-
line-up invariata;
-
artwork di copertina pressoché speculare a quello dell’esordio;
-
tracklist ancora una volta composta da quattro canzoni per mezz’ora abbondante di musica;
-
sound in tutto e per tutto identic…
Mmmh, fermi un attimo: sotto il profilo squisitamente musicale, il mio ruolo di recensore sofistico e pignolo impone di operare un distinguo.
Se è pur vero, infatti, che la ricetta messa a punto dalla compagine belga ha mantenuto il suo sapore, altrettanto vero è che qualche variazione nel dosaggio degli ingredienti lo si percepisce.
Il primo elemento di -lieve- rottura col passato si può rinvenire nelle scelte dietro al mixer: asce di
Gilles Demolder e
Levy Seynaeve più in risalto, produzione più affilata. In secondo luogo si nota, nelle nuove composizioni, uno svilimento delle influenze
cascadian in favore di una reviviscenza dei retaggi
nineties black metal.
Quindi, per intenderci, meno
Wolves in the Throne Room e più
Gorgoroth, meno
Nord America e più
Nord Europea, meno atmosfera e più aggressione, meno progresso e più tradizione, meno... ok, la smetto.
Ciò emerge sin dalle prime note della sferzante opener “
Ontzielling”, e viene poi confermato dalla ossessiva dissonanza del main riff della
title track -che tuttavia impiega sin troppo ad entrare nel vivo- o ancora da “
Smeekbede”, che in talune evoluzioni chitarristiche materializza addirittura lo spirito dei
Dissection.
Ognuno di voi, in base ai gusti, valuti l’efficacia di una simile strategia. Per quanto riguarda il sottoscritto, preme segnalare che il
songwriting si è mantenuto sui medesimi, (quasi) discreti livelli. Nulla che faccia gridare al miracolo, nulla che non si sia già sentito altrove, che possa cambiar la vita o stazionare per mesi nello stereo.
Qualche buon momento convive con qualche momento di stanca, per canzoni di lunga durata che non sempre riescono a mantener vivo l’interesse.
E tant’è.
Nondimeno, “
De Doden Hebben Het Goed II” merita la qualifica di
release solida, in grado di soddisfare senza troppi patemi gli amanti delle nere sonorità… purché non alzino troppo la barra delle aspettative.
Cari
Sindrome della Morte Improvvisa del Lattante (nel loro idioma suona meglio, in effetti), ci rivediamo per la parte III. Fate i bravi.
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