Inutile girarci attorno, per i loro tanti
fans (tra cui il sottoscritto …) è veramente difficile immaginare i Great White privi dalla voce pastosa e passionale di
Jack Russell, e questo anche se la parabola artistica della
band “originale” è proseguita onorevolmente anche senza il suo fondamentale contributo.
E’ inevitabile, dunque, pur non apprezzando particolarmente questi fenomeni di “sdoppiamento“ dei gruppi musicali (Ratt, Queensryche, …), affrontare il primo parto sulla lunga distanza della “sua” versione dello
Squalo Bianco con molta curiosità, unita a una cospicua dose di diffidenza.
E allora diciamo subito che “
He saw it comin’” è un disco abbastanza godibile, che il
pathos e la tecnica scorrono ancora copiosi nella laringe di
Russell e negli strumenti dei suoi
pards (tra cui il suo storico
partner in crime Tony Montana, qui impegnato con chitarra e tastiere) e che l’entusiasmo non si è ancora spento nell’animo di questo esperto
blues-breaker.
Insomma, la “pinna” di questo rinnovato pescecane californiano costituisce ancora una garanzia di competenza
hard-blues e incute tuttora un certo “timore” nei tanti concorrenti del settore, dando prova che certe “cose” non si dimenticano e allo stesso tempo possono non finire sommerse dalla
routine.
Il disco suona contagioso, intenso (soprattutto in alcuni testi), parecchio divertente e “libero”, trasmettendo le sensazioni che verosimilmente sono state provate dai protagonisti durante la lavorazione dell’opera … in quest’ottica, accanto all’emozionante e pulsante fervore
bluesy dell’
opener “
Sign of the times”, nel programma troverete le scosse
funky della notturna “
She moves me” e della sbarazzina e Aerosmith-
iana “
Crazy” (che piacerà altresì ai “nostalgici” di “
… Twice shy”), ma anche inconsuete scorie
dark (!) in "
My addiction”, reminiscenze barocche di Beatles e Queen nella
title-track, un pizzico di The Who nell’infettiva e cangiante “
Spy vs spy” e addirittura vaghi bagliori
reggae in “
Don’t let me go”.
“
Love don’t lie here” e “
Anything for you” sono frammenti sentimentali discretamente ispirati, “
Blame it on the night” mescola con buongusto
Alice Cooper e B.O.C. e mentre, in chiusura dell’albo, scorrono le note del
divertissement swingato “a cappella” “
Godspeed”, non si può far altro che concludere che i
Jack Russell’s Great White vanno accolti con favore, dimostrandosi un esempio di come il “passato”, anche il più “ingombrante” e irripetibile, non debba necessariamente rappresentare un impedimento al continuare a proporre buona musica.
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