Copertina 7

Info

Anno di uscita:2005
Durata:47 min.
Etichetta:UDU Records

Tracklist

  1. BEHIND THE DOOR
  2. STILL ALIVE
  3. THAT'S MY DIRTY WAY
  4. LIVE TO LEAVE
  5. IT WOULD BE NICE
  6. B-SIDE
  7. IN HER EYES
  8. AM I INGENUOUS?
  9. YOUR DREAMS
  10. SO LUCKY
  11. OUT OF THIS WORLD
  12. SHEEP
  13. CALL ME NOW

Line up

  • Stefano Giambastiani: vocals, guitar
  • Stefano Marchi: drums
  • Elisa Lazzari: bass

Voto medio utenti

Sono ormai trascorsi circa venti anni da quando una tranquilla cittadina boscaiola del nord ovest degli Stati Uniti si è (dapprima lentamente e silenziosamente e in seguito con un'iperbole apparentemente inarrestabile) affermata quale punto di riferimento e rampa di lancio per l'incredibile assalto di quello che era definito come il moderno hard rock americano.
La città in questione è ovviamente Seattle, stato di Washington, dove, grazie fondamentalmente ad un giovane laureato dell'Evergreen State College, Bruce Pavitt, che commentava gli avvenimenti musicali underground su di una sezione ad essi dedicata per la testata gratuita Seattle Rocket, con idee molto chiare su come trasformare la propria attività giornalistica in esercizio imprenditoriale e al contributo economico di Jonathan Ponemann, nacque la Sub Pop Records (mutuando il nome dalla suddetta rubrica) e, indirettamente, anche quello straordinario fenomeno musicale e di costume chiamato grunge, termine non a caso utilizzato per definire il suono contenuto nell'Ep "Dry as a bone" dei Green River, uno dei primi parti della suddetta etichetta. Il grunge, dunque, quel sound che, nella sua varietà, miscela sostanzialmente la smaccata affezione per l'hard degli anni settanta, il punk e il noise, il tutto approcciato con impeto iconoclasta; una musica, insomma, che voleva "distruggere i valori morali di una generazione" (riprendendo nuovamente la celebre descrizione promozionale del dischetto dei Green River). Come si sono poi svolti gli eventi lo sanno tutti, da una nascita quasi artigianale allo "sbranamento" da parte delle majors, alle contraddizioni, alla cultura del rock che aveva (ed ha) bisogno di miti per poterli subito dopo distruggere e ricominciare da capo, ma se oggi siamo ancora qui a parlare di questo genere e ci sono così tanti gruppi odierni che si rifanno ad esso (dalla sua versione più autoctona a quella "post") è innegabile che qualcosa "dentro", questo grunge ha lasciato in molti.
Mi scuseranno gli Acid Brains se ho utilizzato la disamina del loro disco "The end of the show" per questa sorta di "requisitoria", ma quello che volevo sottolineare è il valore intrinseco di queste coordinate sonore, che invece spesso vengono additate come se le si volesse colpevolizzare per aver soffocato, almeno per un po', tutto il resto del mondo del rock, quando si è trattato essenzialmente della solita cattiva gestione unidirezionale del mercato discografico. Da quegli esordi, molti sono stati i gruppi a sorreggere a loro modo il vessillo di questo sound, dai Malfunkshun ai Mudhoney, dai Melvins ai Coffin Break, passando da Mother Love Bone, Screaming Trees, Tad, Pond ed arrivando ai fondamentali Pearl Jam, Soundgarden, Alice In Chains e Nirvana e lo spirito "grezzo" che anima i nostri Acid Brains mi sembra ricordare proprio quella genuinità e quella spontaneità che contraddistingueva gli albori di quella scena, anche se spogliato, ovviamente, della sua componente "rivoluzionaria". Sono proprio i Nirvana (direi nella loro versione maggiormente "naturale", prima che le pressioni e chissà cos'altro li facessero implodere su loro stessi) il gruppo che mi sento di poter menzionare come riferimento principale del trio lucchese, ma non pensate che si tratti della classica operazione "di comodo", esclusivamente imitatoria: tra questi solchi si percepisce anche l'opportuna personalità e il gusto per fare in modo che la citazione non sia per niente fastidiosa.
Prendete le distorsioni e il tormento di "Behind the door", il crescendo malinconico di "Still alive", le notevoli "It would be nice" e "So lucky", l'alienazione dello strumentale "B-side", la buona "Am I ingenuous?", la frenesia selvaggia di "Sheep" ed unitele alle discrete qualità di "Live to leave", "In her eyes", "Your dreams", "Out of this world" e "Call me now", oltre alle interessanti, ma ancora un po' approssimative, soluzioni attuate in "That's my dirty way" ed otterrete un dischetto che a dispetto d'alcune imprecisioni vocali e strumentali, di una fluidità migliorabile e di una maturità generale non ancora raggiunta, appare "vero" ed intenso, il frutto di un gruppo ancora in evoluzione, ma che ha saputo cogliere con la forza della passione "l'anima" dei suoi modelli.
Una registrazione e un mixaggio non impeccabili e un artwork minimalista non forniscono un grosso contributo, ma le buone qualità degli Acid Brains riescono a superare anche questi problemi.
Il nuovo album, a quanto sembra, in fase di preparazione, ci potrà dire più chiaramente se la crescita dei toscani si sia compiuta del tutto e augurandoci che certe attitudini distruttive si siano esaurite con gli anni "d'oro" del genere, la speranza è che la stagione del grunge non si sia ancora spenta e che sia in grado d'essere rivitalizzata da gruppi giovani con idee e stimoli nuovi. Che proprio gli Acid Brains siano uno di questi?
Recensione a cura di Marco Aimasso

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