Non è difficile immaginare quale potrà essere una delle principali critiche mosse a questo “
Carpe noctum” … perché solo trentotto minuti di musica per un
live album che nella discografia ufficiale degli
Armored Saint mancava da quasi trent’anni (“
Saints will conquer”, un mini, tra l’altro, da ricordare anche per essere l’ultima testimonianza del gruppo con
Dave Prichard, prematuramente scomparso nel 1990)?
Ebbene, nonostante si tratti di un appunto completamente legittimo, sfido chiunque a trovare un disco dal vivo più vero e intenso di questo.
Otto brani splendidi, suonati e registrati senza orpelli e sovrastrutture “tecnologiche”, prelevati dal repertorio praticamente inattaccabile di una
band straordinaria, capace di tutelare alla perfezione, assieme a poche altre (Savatage, Malice, Sword, …), il concetto di “integrità”
Heavy Metal nel continente nordamericano.
Una formazione non baciata dalla buona sorte, che ha raccolto meno di quanto avrebbe meritato, e che nonostante un paio d’interruzioni “forzate” ha sempre saputo riprendersi con autorità, proponendo una formula espressiva fatta di vitalità e di potenza “controllata”, in grado d’insinuare brandelli di originalità propria tra le pieghe della nobile tradizione del settore.
Così, se il recente, ottimo, “
Win hands down” ha rassicurato i fedelissimi del
Santo sulla sua tenuta da “studio”, “
Carpe noctum” arriva a confortare anche chi di loro non ha mai avuto l’occasione di apprezzarne le qualità “de visu” e ci riconsegna un gruppo in forma smagliante, che infiamma il pubblico tedesco (esibizione catturata nel 2015 tra Ashaffenburg e il Wacken Open Air) con una prestazione “monstre”, dominata dalla voce inossidabile di
John Bush, in grado di scorticare la pelle e affondare nei gangli sensoriali più profondi grazie alla forza inarrestabile dell’intonazione e di un’interpretazione mai retorica.
Una scaletta abbastanza equilibrata tra “passato” e “presente”, non permette particolari “menzioni d’onore” (magari facendo una piccola eccezione solo per l’avvincente “
Last train home” e per il fremente crescendo di “
Aftermath”) … a ulteriore certificazione di un percorso artistico privo d’incrinature, il flusso emotivo appare pressoché ininterrotto e sebbene sia scontato lamentare la mancanza di qualche “classico”, ogni eventuale delusione è spazzata via da un concentrato sonico denso e assolutamente attanagliante.
Non rimane che “cogliere l’attimo” (onorando, in qualche modo, la parafrasi
Oraziana concessa al titolo dell’opera …) e godere ogni singolo istante di questo fugace e veramente “vivo” frammento di
ars metallica … soddisfazione garantita.