Al sesto capitolo della sua parabola artistica lontano dagli Alien,
Jim Jidhed “rischia” seriamente di raggiungere l’apice della sua carriera da solista (che, tutto sommato, continua a essere “
Full circle”…) e tal evento si realizza grazie ad una serie di circostanze che andiamo brevemente a descrivere qui di seguito.
Partiamo, innanzi tutto, dalla sua voce … persa fatalmente per strada un pizzico di brillantezza, l’ugola (dalle colorazioni timbriche parecchio
Perry-ane) dello svedese ha acquisito un’ulteriore consistenza emotiva, essenziale per trasmettere tutto il suo “vissuto” di ultracinquantenne attraverso interpretazioni di notevole tensione espressiva.
Passiamo, poi, alla
partnership con
Daniel Flores, uno che nonostante qualche “accusa” di eccessiva uniformità produttiva, sa come “far suonare” (e suonare) il
rock melodico nel terzo millennio.
Aggiungiamo, allo scopo di esaurire l’analisi dei pregi esecutivi dell’opera, la doverosa menzione di un “vecchio amico” come
Ken Sandin e di un paio di ottimi musicisti (fidati collaboratori di
Flores) del calibro di
Michael Palace e
Philip Lindstrand, e non ci resta che occuparci dell’aspetto compositivo, rilevando quanto il
songwriting di “
Push on through” appaia piuttosto efficace e raffinato, nonché capace, all’occorrenza, di ostentare i muscoli.
Complessivamente non mi sento di biasimare del tutto quelli che, all’apparenza in maniera un po’ semplicistica, hanno definito l’albo una sorta di versione “attualizzata” degli stessi Alien e se l’appassionante apertura di “
Glorious” svela una grinta lievemente “inusuale”, la
title-track riporta il clima nei territori sonori più abituali al nostro, esponendo al meglio le sue peculiarità d’innata sensibilità “adulta”.
Il catalizzante tocco pomposo e l’avvincente
grip armonico di “
If we call it love” rendono il brano uno degli
highlight del programma e a fargli compagnia nell’edificante classificazione arrivano subito dopo la preziosa gemma malinconica “
Waiting for summer”, la vellutata “T
he first time” e l’ariosa e pulsante “
One breath away”, pervasa da un magnetismo pressoché irresistibile.
La notturna ed enfatica “
Too many words”, pur assai intensa, sconta appena un vago retrogusto di stucchevolezza al pari della ballata
poppeggiante “
Drowning”, mentre a rimpinguare ulteriormente il numero dei momenti più “alti” del disco sopraggiungono infine il dinamismo avvincente di “
Next in line”, la gradevolissima parafrasi Journey-
esque “
Love was waitin” e la struggente “
It is what it is”, da cui sgorga una forma di emozione intima e pura, stavolta priva della benché minima sovrastruttura.
Jim Jidhed con questo lavoro dimostra di aver raggiunto, anche grazie a un selezionato e competente
team di collaboratori, una maturità artistica invidiabile, avvicinandosi abbastanza “pericolosamente” ai sommi livelli d’eccellenza del settore … da avere.
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