Tempo fa questa formazione tedesca era conosciuta come The Shithead, denominazione non propriamente indice di finezza. Sotto tale identità nel 2004 aveva realizzato l’album “Dirty pounding gasoline”, una prova di hardcore metal passata pressochè inosservata al di fuori del territorio germanico.
Successivamente il quintetto deve aver realizzato che qualcosa non funzionava nella sua proposta, decidendo di attuare una rifondazione radicale. Così è stato letteralmente cancellato ogni richiamo al passato, per dare vita ad un corso completamente nuovo. Il monicker è diventato
Motorjesus, peraltro anch’esso di dubbio gusto, ed il gruppo si è gettato a capofitto in direzione di un heavy rock molto muscolare. Un sound basato su linee spesse che si alimentano di spigolosità metallica, arricchito inoltre da buone dosi di groove arcigno e da pennellate melodiche ispirate all’ombrosità partorita dagli anni ’90.
Gli appassionati più smaliziati adesso staranno pensando di aver già assistito a metamorfosi simili, in particolare nel caso dei Corrosion of Conformity ed in parte anche negli ultimi Metallica. Guardacaso i Motorjesus sembrano esattamente il risultato dell’incrocio tra i due noti gruppi, con le parti accellerate frutto di sciabolate chitarristiche modello Pepper Keenan e quelle melodico-evocative appannaggio del vocalist Birx, palese emulo dell’ultimo Hetfield ma con la rabbiosa irruenza di chi deve ancora mettersi in luce.
Utile sottolineare che gli aspetti derivativi in qualche occasione toccano livelli imbarazzanti, valga su tutte “The undertaken” che grazie al sinuoso mid-tempo heavy ed i contorni da ballata sofferta e maestosa, finisce per sembrare un inedito del “Black album” o di “Load”. Però è anche giusto riconoscere ai Motorjesus di aver realizzato brani di convincente solidità, nei quali mettono in mostra una compattezza d’insieme davvero granitica ed una forza d’urto di prima qualità.
Impressionanti ad esempio i martelli ritmici “Destroyer” e “The howling”, due episodi heavy rock dalla struttura consueta ma che sprizzano ondate di energia davvero poderosa. Notevole anche l’iniziale “Legion of rock”, rocciosa combinazione di tensione chitarristica e vibranti ritornelli epico-anthemici che rispolvera lo spirito dei primi ‘80. Ed anche quando i tedeschi rallentano l’andatura e si cimentano in temi meno bellicosi i risultati sono buoni, come dimostra la consistenza di una semi-ballad quale “10 feet underground”, avvolta nell’atmosfera tesa e piena di ombre che ha caratterizzato diversi filoni rock successivi al periodo dominato dal grunge.
Detto di alcuni eccessi di copiatura e di saltuari passaggi un po’piatti e ripetitivi, il disco è la miglior testimonianza che i Motorjesus hanno avuto ragione nel cambiare direzione stravolgendo il proprio stile.
La loro miscela heavy è perfettamente equilibrata tra richiami di scuola classica ed utilizzo di sonorità moderne, le bordate pesanti non fanno prigionieri e la flessibilità del songwriting permette di alternarle a temi più riflessivi, infine l’aspetto strumentale non mostra particolari esitazioni. Adesso però occorre migliorare il distacco dai punti di riferimento e rendersi maggiormente autonomi ed indipendenti, allora i Motorjesus saranno davvero pronti a realizzare qualcosa di primissimo livello.
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