Trovo davvero profetico che il sommo
Graz mi abbia inoltrato l’album degli irlandesi
The Crawling allo scoccare della giornata di
San Patrizio.
Una profezia, pertanto, che narra di suadenti melodie celtiche, rubicondi folletti che saltellano per prati verdi alla ricerca di quadrifogli, ettolitri di birra tracannati tra cori, risate e brindisi entusiastici… no eh?
No, in effetti.
A questo giro ci si strugge e ci si immerge in un opaco catino di lutto, dolore, rimpianto. E in tutta onestà, io preferisco così.
I tre musici che compongono la band devono evidentemente possedere gusti affini ai miei, posto che, tra i 45 minuti che compongono il platter, non ne rinverrete uno in grado di proiettare un minimo di luce sul sound.
C’è un buio pesto ed impenetrabile nel mondo dei
The Crawling, e per accorgervene vi basterà posare l’orecchio sull’
opener “
An Immaculate Deception”, efficace compendio delle coordinate stilistiche del combo.
Coordinate che suggeriscono una suddivisione di compiti tra
doom e
death metal, laddove al primo genere viene affidato l’incarico di fornire le fondamenta alle composizioni, mentre al secondo spetta mantenerle sempre dinamiche e vive (è un controsenso in termini, lo so).
La strategia, a mio avviso, funziona in modo egregio, anche grazie ad una produzione che definirei “seria”: per nulla artefatta, mixing bilanciato alla perfezione e ottima resa della sezione ritmica. Si aggiunga una maturità compositiva che non ci si attenderebbe da un gruppo all’esordio discografico e non si potranno che ottenere buoni risultati.
Scorrendo la
tracklist, infatti, si possono individuare diversi momenti di valore: penso a “
Poison Orange”, “
Acid on My Skin” (a mio avviso la migliore) e "
Catatonic” -ripescata, assieme a “
The Right to Crawl” dal precedente
EP- che si abbeverano alla mesta sorgente del
funeral, mantenendone il mood disperato ma movimentandone le ritmiche, oppure a “
All Our Failings”, che sfoggia invece un piglio più deciso ed uno svolgimento squisitamente
death, territorio in cui i Nostri sanno muoversi senza inciampo alcuno -anzi, un paio di riff sono davvero azzeccati-.
Più in generale, “
Anatomy of Loss” saprà senz’altro deliziare i palati dei (pochi) cultori delle sonorità sopra descritte, senza inventare assolutamente nulla ma sbagliando davvero poco.
A me sta più che bene; chi fosse, invece, interessato ai folletti saltellanti e ai quadrifogli, è pregato di rivolgersi altrove.
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