Addirittura il disco omonimo, sinceramente ormai dopo 28 anni di vita e nove album non me lo sarei mai aspettato.
Quando c'è un disco omonimo però...mmhhh...io impazzisco.
Mi aspetto sempre il disco pazzesco, quello immortale, quello che segna la carriera, anche se è ovvio, palese e logico che questo avviene quando si tratta del debutto o poco più e di certo non quando la band in questione è quasi sull'orlo della pensione.
Siamo sinceri, "
Inked in Blood" aveva avuto il grande merito di riportare gli Obies sui giusti binari dopo gli indecenti album con Santolla ma la magia, quella vera, si è fermata con "
Back from the Dead" che considero, a torto o ragione (ma sicuramente a ragione, dato che di death metal me ne intendo) la conclusione della leggenda degli
Obituary, un po' come la leggenda di Hokuto.
Già "
Frozen in Time", che veniva dopo ben 8 anni di pausa ed è tutto sommato un buonissimo disco, non possiede quelle "
Threatening Skies", "
Don't Care" o "
Back to One", senza andare a scomodare i primi due lavori che proprio non è il caso.
Adesso siamo qui, in ogni caso con il sorriso perchè trovarsi di fronte gli Obituary è come andare a trovare il vecchio nonnino che ci da' la busta con le 100 euro, ci chiede come va con le donnine e di tagliarci i capelli che ormai abbiamo una certa, ma quel legame particolare si è interrotto, la scintilla non scocca più come una volta, sebbene il sound sia quello, anzi stavolta voce e produzione rispetto ad "Inked in Blood" sono assai migliori ed il disco ne risulta senza dubbio più godibile.
Un disco che è un intramuscolo, appena 33 minuti, non siamo lontani dai 29 di "
Legion" dei
Deicide o "
Chemical Exposure" (o "
Illusions", se volete) dei
Sadus, ma quelli sono due dischi che hanno fatto la storia del death metal e continuano a farla tutt'oggi: sì, per carità "
Straight to Hell" ha il tiro giusto, la rasoiata di "
Brave" è un massacro di due minuti che ci riporta ai tempi degli esordi così come la successiva "
Sentence Day", ed il video della conclusiva "
Ten Thousand Ways to Die" è già un must, col suo umorismo splatter, le tante citazioni e la simpatia che da sempre gli Obies profondono in tutto ciò che li circonda: senza dimenticare che in ogni caso il brano, nella sua estrema linearità, è forse quanto di meglio possa offrire oggi la band dei fratelli Tardy, condito da un assolo così retro' che quasi mette i brividi.
Un album da 6,5 che aumento volontariamente a 7 per la stima e perchè faccio come mi pare, che più o meno vale il precedente, forse un poco di più (io propendo per questa ipotesi, seppure lievemente), forse un poco di meno, ma che non lascerà assolutamente alcuna testimonianza in futuro riguardo la musica lasciata dagli
Obituary, fermi con la gloria al 1997 ma lanciati ad imperitura memoria per l'eternità.
Venti anni fa, eravamo tutti giovani, capelloni, spensierati: forse anche per questo quei dischi ci piacevano di più?
Per me no, in ogni caso "Obituary" è un disco degno del nome degli Obies, specie nel 2017.