Siamo abituati a pensare che il miglior pop elettronico provenga da Germania, Francia e Stati Uniti. Quando ho scoperto che
Udde è di Sassari, non nascondo di aver fatto un balzo sulla sedia perché ad ascoltare il buon
"The Familiar Stranger" non si direbbe proprio...
Oltre a essere un ottimo arrangiatore, l'artista sardo ha infatti la capacità e il buon gusto di non eccedere mai, né sul fronte degli ingredienti della proposta né su quello della durata complessiva dei brani (anche se quasi sempre vengono chiusi con quelle spiacevoli dissolvenze che tanto mi infastidiscono).
Apre le danze
"Same Old Song", dove le sonorità elettroniche di scuola Kraftwerk/Depeche Mode preludono a
"One Heaven", di matrice prettamente new wave (Joy Division, New Order).
"Facelift" ha timbri più ruvidi ma melodie sempre molto orecchiabili, mentre
"Tough Girls" si caratterizza per il beat minimal.
"Wait" ci fa fare un tuffo nella Germania degli Anni Settanta (ficcante il ritornello corale) e sfocia nell'elegante
"Gloomy Friday", un po'
Jarre e un po' Eurythmics, con un pizzico di Duca Bianco.
"Our Boundaries" è più elaborata dal punto di vista melodico/armonico e rimanda a certe cose di
David Sylvian o dei Japan, in totale antitesi con la successiva
"Summertown", breve, disimpegnata e dal ritornello arioso.
"Neighbour" ha più di un elemento in comune con
"Never Let Me Down Again", ma si fa perdonare con
"The Bridge Carousel", altro momento articolato dove udiamo inserti in lingua madre, contrasti ritmici tra tempi binari e ternari e pure un assolo di chitarra. Chiude il cerchio
"Supermarket", episodio lineare dove complessivamente prevalgono le dinamiche soffuse.
Ok, anche stavolta il voto non bisognerebbe darlo perché
"non è metal" e bla bla bla... ma ci si può esimere anche con un nostro connazionale? Io dico di no.
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