Approcciandomi alla recensione della nuova fatica dei
Sinlust, mi sono ritrovato a pensare che i Nostri non si siano dotati del più efficace dei monicker. Poi, scrutando la bio, ho appreso che la compagine francese è stata fondata nel 2008 dal chitarrista
Chris In Lust, e ho capito l’antifona…
Un consiglio da amico prima di addentrarmi nella recensione: vada per il monicker, ma cambiate i nomi d’arte, per l’amor di dio (o di chi per lui).
Facezie a parte, narriamo quest’oggi dell’ennesima band transalpina che si cimenta nella difficile arte del metal –più o meno- estremo.
Più o meno, visto che i Nostri decidono di optare per un
black piuttosto ragionato e meditabondo, quasi mai improntato alle alte velocità (le fasi in
blast beat si contano sulle dita di una mano) ma più incline a partiture articolate ed epicheggianti.
Il feeling solenne delle composizioni viene perseguito senza ricorrere a strumenti tradizionali, arrangiamenti orchestrali o diavolerie assortite, bensì sfoggiando retaggi chitarristici di matrice
classic (con una spruzzata di
thrash nelle ritmiche) e ponendo particolare attenzione all’intessitura melodica –si vedano, a tal proposito, “
Dawning of the Volcano God” e “
Trilateral Conflict”, tra le più positive del lotto-.
Non mancano poi parentesi riflessive e digressioni acustiche, per fortuna mai tirate troppo per le lunghe o buttate a casaccio per far volume (seppur sin troppo spesso accatastate negli incipit dei brani).
Queste, assieme alle duttili screaming vocals di
Firefrost (mi scuso per l’ostinazione, ma non posso che ribadire: cambiate nomi, è meglio), forniscono ulteriore stratificazione ad un sound ben più elaborato rispetto alla media del genere.
D’altro canto, che l’approccio dei
Sinlust fosse tutt’altro che semplicistico lo si può evincere sin dall’impianto lirico: i quattro, infatti, decidono di imbastire un nuovo concept che prosegue e completa quello iniziato in occasione del debut “
Snow Black” (2011); anche stavolta, tra l’altro, daranno alle stampe un romanzo vero e proprio basato sul medesimo impianto narrativo.
Niente male.
Altrettanto può dirsi dei suoni ottenuti dal producer
Gwen Kerjan negli
Slab Sound studio: corposi e ficcanti, con un occhio di riguardo alla sezione ritmica composta dal batterista
Infernh e dal bassista
Rain Wolf (…ok, non lo scrivo più, ci siamo capiti).
Non particolarmente d’impatto, ma caruccio, anche l’artwork di copertina, suvvia.
Certo, qualche motivo di perplessità qua e là emerge: mancano episodi in grado di ergersi sopra la media, si percepisce l’assenza di una direzione artistica perfettamente definita e della volontà di scostarsi da stilemi compositivi spesso ripetitivi; inoltre, taluni passaggi avrebbero, con ogni probabilità, tratto giovamento da una linea vocale in clean.
Più in generale, “
Sea Black” fotografa una realtà in cui tutto va bene, ma nulla va benissimo.
Al tempo stesso, gli amanti del
black metal più atmosferico commetterebbero una leggerezza se decidessero di scartare l’opzione
Sinlust in modo aprioristico.
Per me -nomi a parte- il bicchiere è comunque mezzo pieno.