Hanno provato a fermarci, ma poste, problemi tecnici, ritardi burocratici e sfighe permanenti non potranno fermare i Sacred Steel, con cui ci scusiamo, in concerto con i nostri lettori, per il grande ritardo con cui questa recensione vede finalmente la luce sulle pagine di EUTK.net.
Ma in ogni caso rieccoli! The cat is back!!! Inossidabili, puntuali, grotteschi, esagerati, sguaiati, indispensabili, pazzoidi, tutti aggettivi che si adattano alla perfezione per una band come quella dei Sacred Steel, come sempre condotta con estrema beceritudine da Gerrit Gatto Mutz, ormai rimasto unico e vero leader della band, che esplode i propri anthems con la sua pazzesca voce, a metà tra il ridicolo ed il possente, tuttavia troppo entusiasmante ed immancabile per chi segue le gesta dei Sacred Steel dal lontano debutto “Reborn in Steel”, ormai risalente a ben dieci anni fa.
Lo stile del nuovo “Hammer of Destruction” fa un passettino indietro, ovvero si pone a metà tra il classico stile defender del penultimo “Iron Blessings” e del più estremo “Slaughter Prophecy”, il primo album pubblicato per la Massacre Records dopo il divorzio con la Metal Blade.
Per la prima volta nella loro carriera, questo lavoro presenta un doppio cambiamento nella line up: il bassista Jens Sonnenberg ha imbracciato la chitarra del defezionario Jorg Michael Knittel (uno dei membri fondatori); fuori anche l'altro chitarrista storico Oliver Grosshans, sostituito da Jonas Khalil, mentre al basso troviamo l'ingresso di Kai Schindelar.
Dopo questo notevole ribaltone, come detto, i Sacred Steel pestano leggermente di più sull'acceleratore, sia in senso di velocità che di pesantezza, e bisogna ammettere che probabilmente la dimensione in cui la formazione teutonica si trova maggiormente a proprio agio è proprio questa; la doppietta iniziate, costituita dalla title track e dalla successiva “Where Demons Dare to Tread”, è davvero letale, con sfuriate di chitarre taglienti, accenni di death metal, potentissime cavalcate ed ovviamente l'altisonante ugola di Gerrit a disegnare il tutto, con cori sanguinolenti e battaglieri a condire il tutto. Le seguenti “Maniacs of Speed” (il titolo parla da solo) e la violenta “Blood and Thunder” non abbassano la guardia neppure per un secondo, confermando il fatto che ormai i Sacred Steel sono una band matura che non presenta più gravi ed altalenanti problemi di songwriting, mentre la loro crociata a favore del metal prosegue con l'epica “Impaled by Metal”, un vero inno contro i nemici del metallo, introdotta da uno stralcio di intervista davvero degno dei migliori Manowar (ho detto i migliori...questo disco, tanto per essere chiari, spazza via l'ultima fetecchia di Eric Adams e soci che sarà incensata solo perchè c'è scritto Manowar sopra...), mentre il pezzo scorre via che è una bellezza, candidandosi ad essere uno degli hits del disco insieme alla seguente “Black Church”, cadenzata e dal mood molto “evil”, mood che peraltro aleggia su tutto il cd, dando quella caratteristica in più al sound dei Sacred Steel, davvero lontani dallo stereotipo di band heavy classic melodica e zuccherosa, anzi qui il sangue scorre a fiumi! Il lavoro si conclude tra sferzate in doppia cassa a manetta che dal vivo promettono un macello tra headbanging furioso e megamosh di altri tempi ed in definitiva ci consegna uno dei dischi più validi del panorama classic e non solo della discografia dei Sacred Steel.
Ok, direte voi, ma possibile che in questo album non ci sia niente che non va? C'è c'è...l'ho lasciata in fondo appositamente la scelta scriteriata di una produzione del genere, un suono della chitarra davvero idiota, più adatto probabilmente a qualche cd di death metal svedese vecchio stile, con una saturazione dei toni medi a dir poco esagerata... Certo, il “rombo” creato è tanto e forse, se queste erano le intenzioni di Mutz e soci, il traguardo finale è stato tagliato, dato che basta alzare un po' il volume per trovarsi letteralmente travolti da un muro sonoro, però una produzione più asciutta e diretta a nostro avviso avrebbe giovato non poco.
Tuttavia il risultato finale non è inficiato e pertanto, con raccomandazione ai non defenders di evitare questo disco come la peste, invito tutti a procurarvi “Hammer of Destruction”, alzare il volume e sfasciare tutto! E come disse Dan Peterson: “Sacred Steel: per me...mmmhhh mhhhhh! Numero uno!!!”
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