Non voglio parlare spesso di "scena italiana" o "realtà locali emergenti" relativamente alla nostra musica preferita perché il metal è un movimento sotterraneo ma globale e frammentarlo ulteriormente può essere controproducente. Se una band ha valore, se riesce a trasmettere qualcosa, lo fa a prescindere dalla propria provenienza. E allora sì, i
Crimson Dawn sono una realtà di lombarda ma sono prima di tutto una band doom di eccellente valore che oggi torna, a distanza di quattro anni dal primo capitolo discografico, ancora più a fuoco, ancora più convinta dei propri mezzi e con una maggiore personalità.
Quando c'è di mezzo il doom certa gente si spaventa, ha paura di aver a che fare con qualcosa di ostico, di pesante, oppressivo. Non con i
Crimson Dawn. La band ha un approccio alla materia che, per forza di cose, deriva da Candlemass e Black Sabbath ma anche dal Dio solista ed ha anche a che fare con Veni Domine e Solstice. Insomma, le sensazioni che trasmette la loro musica, più che oppressione e soffocamento, sono quelle della teatralità e dell'epicità.
Grazie all'eccellente voce di
Antonio Pacere, a tastiere saggiamente dosate ed a linee di chitarra indovinate, i
Crimson Dawn riescono a comporre canzoni varie, abbastanza articolate ma dirette. Ci sono melodie eccellenti all'interno di
Chronicles Of An Undead Hunter, alla fine si tratta di un doom che allo stesso tempo sa essere profondo, emozionante e "spensierato" per via della facilità con cui sono memorizzabili certe soluzioni. Perfino spruzzate di folk emergono qua e la, inserti in growl su
To Live Is To Grieve (ad opera di Emanuele Rastelli dei Crown of Autumn) e piccole porzioni di testi in lingua madre (
The Skeleton Key), tutto a completare una scenografia dove le protagoniste principali sono le canzoni e le loro storie. Ad andare in scena sono racconti fantasy, horror, a volte apocalittici, che stanno benissimo in piedi da soli, senza che siano legati da un argomento affine, con la sola minaccia del cacciatore di non-morti (figura ricorrente, una sorta di Eddie della band di
Dario Beretta, presente nei video, nella copertina e nel primo album) sempre pronto a trafiggere con la sua spada.
La forza dei
Crimson Dawn è proprio quella di riuscire a trasportare l'ascoltatore nei loggioni di un teatro, mentre sul palco i muscoli dell'heavy metal ottantiano duellano con la finezza del prog e la saggezza degli anni settanta e, senza quasi accorgersene, si finisce per entrare nello spettacolo e conservarne un ricordo profondo ed assolutamente positivo.
A margine di quanto sin ora detto, emerge Ia mia puntigliosità (da leggere come "voglia di rompere le balle") ed ecco che parlando dei suoni scelti, posso dire che sono sì in linea con la proposta ma forse un pochino di "calore" in più avrebbe giovato, così come un artwork più convincente avrebbe aiutato a calarsi ulteriormente all'interno dello spettacolo e del mood del disco. Il video (riproposto in calce) invece, è molto curato e ben realizzato, aspetto sempre importante nella diffusione della propria musica, spesso tralasciato.
Dettagli di poco conto che non scalfiscono
Chronicles Of An Undead Hunter, un album che di commerciale non ha nulla ma che riesce a farsi piacere (tanto) dagli estimatori di diversi tipi di metal. Provare per credere.