Un pizzico di questo, un'aggiunta di quello, un po' di condimento e la cena è servita.Ma non siamo su Masterchef, e l'oggetto delle nostre attenzioni non è una una gara di (più o meno provetti) cuochi, ma la prima realizzazione di un trio di musicisti (questi sicuramente scafati) che hanno unito le loro forze nei
The Ferrymen, andando a realizzare l' album d'esordio sotto le insegne della sempre più attenta e prolifica
Frontiers Records.
I
The Ferrymen sono formati da
Mike Terrana,
Magnus Karlsson (entrambi con un corposo curriculum alle spalle) e
Ronnie Romero, che si è imposto in tempi più recenti sulle scene, autore di grandi cose nei Lords of Black e facendosi conoscere ai più per essere il cantante dei riformati Rainbow di Ritchie Blackmore.
Nulla da dire, tutta gente che sa comporre, suonare e cantare, ma nell'occasione non escono dal seminato, e onestamente, pur riconoscendo la bravura dei tre e le capacita compositive di
Magnus Karlsson, non riesco a collocare "
The Ferrymen" ai livelli delle loro più recenti uscite, che sia "Rulebreaker" (Primal Fear), oppure "II" dei Lords of Black, nei quali
Romero mi pare più a suo agio.
Un Hard & Heavy ammiccante e con larghe concessioni al Melodic Power Metal, con evidenti richiami alle varie formazioni cui hanno fatto o fanno parte (trovo molto in comune con e le uscite a nome Allen - Lande e a ruota dei Place Vendome), senza disdegnare rimandi ai gruppi che hanno dato molto al genere, dai già citati Rainbow al Ronnie James Dio solista, passando anche dalle parti di Axel Rudi Pell e più recentemente da quelle degli Astral Doors.
Non stupisce quindi che le varie canzoni si facciano ascoltare con piacere e soddisfazione, sin dall'opener “
End of the Road", potente e orecchiabile, con
Romero,
Terrana e
Karlsson che si dividono la scena e soprattutto lasciano il segno. "
Ferryman" e poi nel prosieguo "
Enter Your Dream" non avrebbero stonato sul già citato "II" (devo ammettere però di preferire il taglio chitarristico di Tony Hernando), mentre l'approccio ruvido e rockeggiante di "
Fool You All" spinge invece a pensare al già citato al repertorio di Axel Rudi Pell. E, tutto sommato, queste sono le coordinate lungo le quali si snoda il disco, dove si segnalano l'ambiziosa "
The Darkest Hour" con le sue reminiscenze seventies, o la spedita "
Welcome to My Show" con quell'approccio diretto e frontale che non può non ricordare gli Stratovarius, al più con una spolverata di Scorpions.
Un traghettatore che quindi non si avventura per sponde sconosciute ma si limita al suo abituale avanti / indietro. E il buon Caronte lo farà pure bene, vista l'esperienza accumulata, ma direi più per mestiere che per passione.
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