Celebrati in occasione del loro debutto del 2014 come "i salvatori del metallo tradizionale", i
Below si sono visti catapultare dal nulla alle pagine di siti specializzati, riviste di settore (vabbè, quelle che rimangono) sulle ali della
Metal Blade che ha fatto loro da sponsor, riuscendo a fare acquisire alla band svedese una buona notorietà. Il suddetto debutto si trattava di un gran bel disco dallo stile epic-doom, con forti influenze dei connazionali Candlemass che, se non poteva essere inserito nella mitologica cerchia dei capolavori (anche se ormai ognuno ormai ha i suoi), riusciva certamente a far felici i fan del doom tradizionale, tra cui il sottoscritto.
Mi sono quindi approcciato a questo disco con una buona dose di curiosità, ansioso di testare il valore dei
Below alla loro seconda uscita ufficiale, dopo aver fatto un po' di esperienza. Risultato? Un altro grande lavoro. Se è vero che di rivoluzioni nel sound dei nostri non ce ne sono, è altrettanto vero che i
Below sul nuovo
Upon A Pale Horse continuano a sfruttare al meglio ed in modo intelligente le proprie armi. Sto parlando della bella voce di
Zeb, che richiama continuamente lo stile di leggende come Dickinson, Kiske, Urban Breed (anche Andy B. Franck dei Brainstorm), e la forza delle chitarre che attraverso un buon riffing ed un grande gusto nei soli arricchiscono i brani senza appesantirli troppo.
Tad Morose, i Candlemass di Ancient Dreams, gli onnipresenti Sabbath del periodo Martin e una buona dose di Memory Garden; sono queste le linee guida per inquadrare un disco totalmente derivativo ma altrettanto passionale e composto in modo impeccabile.
Sì perché malgrado il genere proposto non sia sicuramente tra i più popolari ed accessibili, i
Below riescono a rendere abbastanza "semplice" il loro doom attraverso variazioni, accelerazioni (tipo su
The Coven) senza tenere troppo tempo lo stesso riff o le medesime atmosfere. Certo, c'è qualche momento particolarmente, diciamo, dilatato in cui può affiorare un pochino di stanchezza. Ad esempio l'ultima traccia,
We Are All Slaves, che è anche la più lunga (con i suoi otto minuti abbondanti), è incentrata principalmente sulla voce e sulle atmosfere (con leggere orchestrazioni) più che su riff e melodie, questo porta inevitabilmente a qualche momento di stanca. In questo pezzo ho riscontrato anche qualche somiglianza anche con i Pallbearer che, per inciso, rimangono due spanne sopra.
Upon A Pale Horse è comunque un disco abbastanza vario (nel suo genere) che non disdegna brani più diretti e memorizzabili (come l'opener
Disappearing into Nothing) ma che forse non è a livello di eccellenze come ultimi lavori di Sorcerer e Crypt Sermon. Comunque basta, sto facendo davvero troppi nomi. Anzi, in chiusura ne butto lì un altro: Mercyful Fate. Qualche atmosfera dei maestri è presente in questo disco.
Direi che con tutte le band nominate, qualche paragone per capire la proposta dei
Below ce l'avete, se siete stati vagamente attirati nel leggere tutti questi bei nomi, approfondite l'ascolto di
Upon A Pale Horse, troverete parecchio materiale di vostro interesse.
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