Copertina 8,5

Info

Anno di uscita:2017
Durata:59 min.
Etichetta:InsideOut Music

Tracklist

  1. BONNEVILLE
  2. STUCK
  3. FROM THE FLAME
  4. CAPTIVE
  5. ILLUMINATE
  6. LEASHES
  7. MIRAGE
  8. MALINA
  9. COMA
  10. THE WEIGHT OF DISASTER
  11. THE LAST MILESTONE

Line up

  • Einar Solberg: vocals, synth
  • Tor Oddmund Suhrke: guitar
  • Baard Kolstad: drums
  • Simen Børven: bass
  • Robin Ognedal: guitar

Voto medio utenti

Ho ascoltato e riascoltato il nuovo disco dei Leprous decine di volte e alla fine credo che abbia ragione il buon Baard: “Malina” non è un disco metal, almeno non nella sua accezione più comune. Qui non ci sono “ritmi fortemente aggressivi, suoni potenti ottenuti attraverso l’enfatizzazione dell’amplificazione e della distorsione delle chitarre, dei bassi o delle voci” (cit. Wikipedia). E Baard ha ancora più ragione quando alla domanda sul rapporto tra Leprous e metal risponde una cosa del tipo “machittesen***a!”, solo in maniera molto meno scurrile.

“Malina” è un disco strepitoso, coraggioso, riuscito, e per tutti questi motivi "facile" da sostenere. E pazienza se il gain delle chitarre è più basso del solito, se le sfuriate di doppia cassa non ci sono o se la voce predilige i registri da usignolo ai latrati cavernicoli dei frontman - se di uomini si tratta - delle vostre band preferite. In “Malina” tutto respira, dalla batteria - mai così naturale - al basso spaventosamente definito e “bello”, dalle timbriche ardite delle chitarre al violoncello dell’ospite Raphael Weinroth-Browne.

L’inizio è in sordina: “Bonneville” gode di cori minimali di scuola Pain Of Salvation, di un lavoro di cesello magistrale di Kolstad dietro alle pelli e del falsetto affilato di Einar che - ammettiamolo - ricorda Matt Bellamy. “Stuck” e “From The Flame” le avevamo già sentite, e sono senza dubbio tracce ruffiane ma efficaci: la prima è arrangiata in maniera impeccabile, e serba una bella sorpresa nel finale che intreccia elettronica e sonorità sinfoniche/drammatiche, mentre la seconda gioca sul contrasto tra le linee vocali di facile presa e le tessiture strumentali più articolate e groovy. “Captive” e “Illuminate”, con i loro incastri ritmici, rimandano al recente passato (“The Congregation” su tutti), e sfociano in una seconda metà di full-length più sperimentale e ancor meno prevedibile. “Leashes” è una pseudo-ballad sporcata di djent e di orchestrazioni, e fa il paio con “Mirage”, dove sono i sintetizzatori di Einar a emergere, pur conservando un indiscutibile impatto rock, soprattutto nella coda concitata. La titletrack è sostenuta da un perfetto equilibrio di contrappunti tra il basso, il violoncello, il Rhodes e le poliritmie di Baard, prima della nervosa e stroboscopica “Coma”, probabilmente l’episodio più heavy del lotto. “The Weight Of Disaster” spicca per i saliscendi dinamici e per la fluidità della scrittura, e prelude a un gioiello intitolato “The Last Milestone”, in cui Solberg viene lasciato solo con l’orchestra d’archi - ricreata con più sovraincisioni dal solo Weinroth-Browne - che rievoca con eleganza ed epicità compositori nobili come Bernard Herrmann e Charles Ives. Da brividi.

Prog? Alternative? Boh. Questo si potrebbe definire “metal 2.0”. Convincerà tutti? Sicuramente no, ma qui il voto lo do io, per cui portate pazienza.

Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 25 ago 2017 alle 22:47

Concordo su tutta la linea. Musica di gran classe. P.S.: l'ultimo Elder?

Inserito il 23 ago 2017 alle 11:52

band unica e album bellissimo! metal non metal? “machittesen***a!” ad oggi direi voto 9

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