"Nel sistema penale, lo Stato è rappresentato da due gruppi distinti, eppure di uguale importanza. La polizia, che indaga sul crimine, ed i pubblici ministeri, che perseguono i criminali. Queste sono le loro storie".
Sembrerebbe piuttosto semplice ma non lo è, come può facilmente testimoniare un qualunque appassionato delle varie serie di "Law and Order".
"Nella scena musicale, il Metal è rappresentato da due gruppi distinti. Chi fa buona musica e chi no."
Ma nemmeno in questo contesto risulta facile andare a disporre i molteplici gruppi che oggigiorno incidono un disco di Heavy Metal, qualunque sia il sottogenere di appartenenza.
Sempre che non si tratti di una formazione come quella degli
Accept, storica realtà del Metal teutonico che ha appena dato alle stampe il nuovissimo "
The Rise of Chaos", il loro quindicesimo studio album, nel quali ritroviamo quelle che si sono rivelate le due colonne portanti del gruppo (già a partire dall'omonimo esordio uscito nel 1979):
Wolf Hoffmann e
Peter Baltes, assieme al cantante
Mark Tornillo, entrato in formazione
solo da "Blood of the Nations" ma che ha avuto un ruolo fondamentale in questa nuova fase che dal 2009 gli
Accept stanno affrontando con larghi e meritati riscontri.
A completare la formazione, due novità rispetto al precedente "Blind Rage", con l'ingresso del chitarrista
Uwe Lulis (dai trascorsi importanti nei Grave Digger e nei Rebellion) e del batterista
Christopher Williams, anche se entrambi avevano già preso parte al tour che era seguito al già gitato "Blind Rage".
Un quintetto rodato e ben oliato, che non scricchiola e che non si discosta da atmosfere e soluzioni solide, confortevoli e ormai ben rodate, il giusto prosieguo dei più recenti lavori, oppure avreste preferito che, per uscire dalla loro confort zone, confezionassero un nuovo "Eat the Heat"?
Io, no.
Ecco perché ho accolto con entusiasmo "
Die by the Sword", scattante e immediata come deve essere un'opener, con subito in grande spolvero il chitarrismo straripante e debordante (e sentitelo su “
Koolaid“) di
Hoffmann, che nell'occasione e poi nello scorrere del disco non lascia spazio a
Lulis, mentre per quanto riguarda
Mark Tornillo, il cantante statunitense non sarà mai un nuovo Udo, e non credo nemmeno voglia provarci, ma è la persona - e soprattutto la voce - giusta al momento giusto e ve lo conferma una "
Worlds Colliding", dove è anche possibile apprezzare il drumming verace di
Williams, sicuramente grazie alla mano capace del produttore
Andy Sneap, confermatosi partner in crime degli
Accept.
Qualche riff da un senso (peraltro non fastidioso) di déjà-vu e lo stesso avviene per delle melodie ed un ritornello qua e la, addirittura sul finale quello della pur ruvida "
No Regrets" per un momento mi è sembrato di veder far capolino "The Price" dei Twisted Sister o nella conclusiva "
Race to Extinction" qualcosa dei Grave Digger. Certo, è stato Chris Boltendahl ad essere influenzato dagli
Accept, e forse mi sono solo lasciato trarre in inganno dalla presenza di
Lulis. Infatti, il DNA degli
Accept è facilmente individuabile su tutti i capitoli che fanno parte dell'album, e ne troviamo pure a dosi massicce, che siano le pulsazioni Hard più ruvide di "
Hole in the Head" o quelle di una rockeggiante ed anthemica "
Analog Man" oppure quando tocca ai brani più dinamici ed elettrici, come "
Die by the Sword’, "
What’s Done Is Done" e "
Worlds Colliding", peraltro tra gli episodi più riusciti del lotto.
Dimenticavo. Gli
Accept sono di quelli che fanno buona musica. Dell'ottimo Heavy Metal.
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