Quando si parla di
World Trade, per chi come il sottoscritto adora il loro debutto omonimo, è veramente difficile non provare un
brividino lungo la schiena, nella speranza, magari un po’ infantile, di riprovare sensazioni mai del tutto sopite.
Tra quell’eccezionale combinazione tra
prog e
techno-AOR e l’estate del 2017 ne è passata (
ahimè) di “acqua sotto i ponti” e se il suo successore del 1995 “
Euphoria” aveva lasciato un pizzico di amaro in bocca, l’inattesa uscita di questo nuovo “
Unify” alimenta ancora una volta timori e aspettative.
Alla prova dei fatti diciamo subito che forse l’oberato
Billy Sherwood (impegnato contemporaneamente a sostituire
Chris Squire negli Yes
John Wetton negli Asia, non esattamente una “robetta” da nulla …) e i suoi preziosi
pards (gli
Unruly Children Bruce Gowdy e
Guy Allison e il figlio e fratello d’arte
Mark T. Williams … proprio gli stessi del mitico esordio del 1989 …) avrebbero forse fatto meglio a prendersi un po’ più di tempo prima di tornare sulle scene.
Sembra strano da dire per un gruppo latitante da oltre vent’anni, ma l’impressione che si ricava dall’ascolto del disco è proprio quella di composizioni a volta un po’ “affrettate”, che sfiorano solo la mirabile profondità emotiva e la caleidoscopica magia sonica di cui i nostri sono capaci.
Rimane ovviamente l’enorme classe di musicisti molto preparati e la loro innata capacità nel manipolare i suoni degli Yes più “moderni”, così come ammalia senza remore la cura negli arrangiamenti e la certosina precisione negli impasti vocali e tuttavia non sempre tanta perfezione estetica finisce per conquistare l’anima dell’astante.
L’inizio è abbastanza confortante … “
The new norm” è una bella fusione tra Asia e Yes che, pur faticando un po’ a “entrare in circolo”, intriga per la sua iridescente costruzione armonica e anche la successiva “
Where we’re going” piace per il suo
refrain corale e un clima sonoro che riprende con gusto quello di opere quali “
90125” e “
Big generator”.
“
Pandora’s box” disperde parte dell’immenso potenziale della
band in un approccio eccessivamente
poppettoso, allo stesso modo in cui “
On target on time” piacerà soprattutto a chi ama il
Peter Gabriel solista.
Con la favolosa “
Gone all the way” l’atmosfera s’impregna di melodramma e la scelta espressiva si traduce in una bella scossa sensoriale, la stessa assicurata da una pulsante
title-track e, dopo la trascurabile “
For the fallen”, dall’evocativa “
Lifeforce” e dalla suggestiva (e leggermente “ostica”) “
Same old song”, in cui fanno capolino pure piccole influenze di
folk-music.
La fosca “
Again”, traccia gradevole e non imprescindibile, conclude il programma di un albo sospeso tra “luci e ombre”, che non sminuisce la stima nei confronti di artisti “superiori”, nello specifico probabilmente non al massimo delle loro possibilità comunicative e creative.
Accogliamo il ritorno dei
World Trade con favore e (moderata) soddisfazione, dunque, ben consapevoli che da questo glorioso
monicker è lecito attendersi qualcosa di più.
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