Fossi costretto a descrivere in un aggettivo il nuovo disco solista di
Danielino Cavanagh, il maggiore degli
Anathema Brothers, credo opterei per “crepuscolare”. In realtà trovo calzanti anche “intimista”, “autobiografico”, “soffuso”, “riflessivo”, oppure ancora...
Ehi, ma dove andate?
Siate sinceri: stavate scappando come gli impiegati del “
Secondo Tragico Fantozzi” alla notizia che il film cecoslovacco con sottotitoli in tedesco non era arrivato in tempo per la proiezione, vero?
Ve lo concedo, i timori non sono infondati: se già i più recenti parti discografici degli
Anathema non spiccavano per dinamismo (sebbene nell’ultimo “
The Optimist” qualcosa si sia mosso), immaginarsi quale brio possa vantare un’opera che s’intitola “
Monochrome” e che lo stesso compositore inquadra così: “
l’album ha la sensazione di una candela nella notte, evoca la luce del crepuscolo, come il sole estivo scende sotto l’orizzonte, impostando la scena per i pensieri e le meditazioni con cui molte persone si relazionano”…
Ebbene, mi duole ammettere che, seppur non da fuga strategica per tornare alla frittatona di cipolle, birra gelata, tifo indiavolato e rutto libero, l’opera in esame necessita davvero di mentalità aperta e di stato d’animo oltremodo placido per poter essere apprezzata. E ve lo dice un fervido sostenitore delle sonorità soft con cui
Cavanagh si balocca ormai da oltre 15 anni a questa parte.
Sonorità che, come avrete ormai compreso dal preambolo, vengono in questa sede sublimate oltre i livelli di guardia, tanto che –per esser chiari- la minaccia del tedio rischia di materializzarsi in più di un’occasione.
Immaginate 48 minuti di timidi crescendo di pianoforte che sfociano in malinconiche melodie di chitarra attraverso dinamiche non dissimili da quelle già ampiamente ammirate in seno alla band di
Liverpool. Aggiungete all’amalgama sporadiche linee vocali (opera dello stesso
Daniel e dell’angelica
Anneke Van Giersbergen) ed eleganti svolazzi del violino di
Anna Phoebe (già ammirata in occasione del
live “
A Sort of Homecoming”) ed avrete per sommi capi inquadrato “
Monochrome”.
Talvolta la formula funziona: è il caso del plumbeo sfogo di “
The Exorcist” (ottima la prova da
Danny dietro al microfono), del delizioso flavour celtico di “
Dawn” (valorizzata dal lavoro sui suoni svolto da
Andrea Wright), o ancora della delicata progressione con cui “
The Silent Flight of the Raven Winged Hours” si schiude.
Talvolta non particolarmente: penso a “
Some Dreams Come True” (sorta di rielaborazione diluita e slavata di “
Dreaming Light”) ed a “
Soho”, anch’essa pervasa dal vago eppur sgradevole sentore di
Anathema-outtake.
Il problema, prescindendo dai singoli episodi, risiede tuttavia in una resa complessiva ostica e di ardua fruizione, soprattutto se affrontata in unica soluzione.
Non aiuta nemmeno, per quanto contar possa, l’
artwork di
Danny Branscombe, incapace di rappresentare efficacemente il feeling delle composizioni.
Trattandosi di un prodotto lontano anni luce dal comun sentire del nostro glorioso portale (come spesso accade con la pur ottima
Kscope) mi trincero dietro un tattico
Senza Voto; tuttavia, al fine di scansare accuse di codardia, specifico che il mio giudizio si assesterebbe su un 6,5 abbondante.
Voi fate così: ascoltatevi la traccia sottostante, che tra l’altro è con ogni probabilità la migliore dell’intero “
Monochrome”. Se v’intriga provateci, altrimenti tornate senza patemi alla partita: pare che il risultato sia già di venti a zero, e che abbia segnato anche
Zoff di testa su calcio d'angolo.