Non si ferma un momento
Albin Julius, che anche quest'anno ci "regala" altri 46 minuti di musica (usciti con quasi cinquant'anni di ritardo, almeno a sentirli, ma questa è un'altra storia) a nome
Der Blutharsch.
Il sound non si scosta di una virgola da quello che da (quasi) sempre ci propone l'artista austriaco, un tributo fin troppo smaccato alle sonorità doom, space rock, prog e krautrock di leggende come Ash Ra Tempel e Hawkwind. Ecco allora che i 12 minuti dell'iniziale
"Shine", ipnotica e lisergica, scorrono via senza sorprese se non per gli inquietanti inserti cantati/recitati della fida
Marthynna.
"Wolf On Your Threshold" è vagamente più strutturata, con linee vocali e timbriche più definite, e fa il paio con
"You Bring Low", concitata e ansiogena nella migliore tradizione
Der Blutharsch.
"El Ocaso" è di fatto una piacevole traccia strumentale dalle tinte sinfoniche e morriconiane che anticipa
"Land Of Free", a cavallo tra Kraftwerk e
"Master Of The Universe" di
Dave Brock e soci. Il breve
"Interludio" di drone music - evocativo ma fine a se stesso - sfocia nel pasticcio a base di basso pulsante, synth, mellotron, chitarre scordate e improvvisazioni vocali (chiamarle melodie mi pare eccessivo) della titletrack.
"Right" è lineare, non esaltante, ma impreziosita da timbriche ricercate e originali, e conduce alla conclusiva
"Time", decisamente troppo sperimentale e vicina alla musica concreta per poter essere valutata oggettivamente (anche se i minuti finali di "quasi nulla" sanno un po' di presa in giro).
Capisco
"l'arte per il gusto dell'arte", ma cos'ha
Albin Julius contro il concetto di "forma"? Spero un giorno di scoprirlo...
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