Qualcuno si ricorda dei Little Angels? Spero vivamente di sì, dacché stiamo parlando di un gruppo eccellente, spesso superficialmente liquidato come clone dei Bon Jovi (se non addirittura tacciato di essere “raccomandato” …) e invece autore di lavori di notevole valore, capaci di assicurare sprazzi di vitalità all’
hard britannico degli anni novanta.
Ebbene,
Toby Jepson era il cantante di quella
band, e ritrovarlo, dopo una carriera recente spesa soprattutto “dietro le quinte” (nelle vesti di produttore per Toseland, Saxon, Fastway, The Answer, ...), saldamente al timone di una nuova creatura artistica non può che fare piacere e sollecitare l’interesse di ogni
rockofilo senziente.
Allo scopo di soddisfare tali curiosità diciamo subito che i
Wayward Sons suonano un
hard-rock a “ampio spettro”, attento ai “classici” ma anche alle loro evoluzioni più attuali, evitando all’ascoltatore esclusivi e talvolta un po’ stucchevoli viaggi a ritroso nel tempo.
Il
songwriting appare, così, sufficientemente vario e d’istantaneo impatto emotivo, e se aggiungiamo la voce stentorea di
Jepson e le impeccabili qualità tecnico/interpretative dei suoi abili
partners in crime, diventa inevitabile accogliere “
Ghosts of yet to come” tra gli album più “contagiosi” di quest’ultimo scorcio del 2017, pieno com’è di canzoni avvincenti e coinvolgenti, pregne di una “freschezza” non così agevole da reperire, nemmeno nella traboccante offerta della “scena” contemporanea.
Brani ficcanti, diretti, energici, dove i riferimenti più o meno palesi (Led Zeppelin, Beatles, Foo Fighters, Thin Lizzy, …) costituiscono un’eredità importante e tuttavia mai invasiva e s’inseriscono in un contesto in cui il gusto innato per il “facile ascolto” non rischia mai di apparire manieristico e prevedibile.
Le irrefrenabili scosse Purple-
esche di “
Alive” si schiudono nella maggiore ricercatezza sonora della brillante “
Until the end”, mentre con “
Ghost” e “
Be still” l’arte immarcescibile di
Phil Lynott ritorna a essere una “materia” adattissima anche per le
heavy rotation delle radio
rock più
trendy.
“
Don’t wanna go” mescola AC/DC e Danko Jones, “
Give it away” sfida
Dave Grohl & C. sul loro terreno preferito e il poderoso
hard-blues “
Killing time” piacerà sicuramente agli estimatori dei Black Country Communion.
Il
mood melodico, molto
yankee, di “
Crush” rimanda la memoria a certe atmosfere care a
Springsteen e
Mellencamp, “
Small talk” ostenta una linea armonica assolutamente irresistibile e con l’avvolgente e notturna “
Something wrong” si conclude un programma privo di controindicazioni, estremamente consigliato a tutti quelli che nel
rock n’ roll cercano sostanza e spensieratezza e sanno bene quanto sia arduo ottenerle senza incorrere in “qualunquismi” creativi o sterili anacronismi.
Simpatica e molto appropriata, infine, la
cover dell’opera …
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