Avevo perso le tracce dei
Leng Tch’e da diversi anni - dal 2010 per la precisione, quando uscì
“Hypomaniac” per
Season Of Mist – tanto che pensavo fossero definitivamente spariti dalla circolazione favoriti anche dalla fuoriuscita definitiva dell’ultimo membro della line-up originale,
Sven de Caluwé, singer dei più noti conterranei
Aborted.
Invece eccoli di ritorno con ”, con una line-up si spera il più stabile possibile, e con un lavoro nuovo di zecca, intitolato “
Razorgrind, la cui “
mission” principale è quella di rimettere prepotentemente in circolazione il nome della band e fare del “sano rumore come si faceva ai vecchi tempi”.
I 14 brani ivi contenuti si dividono fra death e grindcore, in cui la creazione del groove (a tratti melodico) è fondamentale per la costruzione dei pezzi sui cui scatenare un riffing affilato al momento giusto. Se tutto ciò vi ricorda l’impronta dei
Napalm Death ci avete preso in pieno poiché l’imprinting della band inglese è ben codificato nei
Leng Tch’e Questo passaggio, o evoluzione che dir si voglia, è ben visibile se si confronta la lunghezza media dei brani scritti dai belgi: dagli esordi ad oggi il minutaggio si è elevato, dilatandosi gradualmente, segno della volontà di articolare maggiormente la propria proposta.
Il risultato finale è quello di un lavoro che non annoia, “
Razorgrind” si lascia ascoltare fino alla fine, non è presente il rumore caotico fine a se stesso, ma presenta una logica costruttiva in fase di composizione.
Nascono così tracce come “
The red pill”, “Guinea swine”, la furiosa doppietta iniziale “G
undog allegiance”/”Indomitable”, e la conclusiva suite “
Magellanic shrine” (in cui la band si fionda a capofitto in territori esclusivamente death metal), episodi felici di un lavoro onesto che non pretende di rivoluzionare il mondo.
Speriamo solo di non dover ancora aspettare una vita per avere la conferma (o la smentita) delle sensazioni provate durante l’ascolto.
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