Arrivano dalla contea del Lancashire (Wigan, per la precisione) e sono una nuova “scommessa” di casa
Frontiers Music, spesso tacciata con superficialità di essere solo un rifugio per “vecchie glorie” o la regina del “progetto parallelo”.
Gli inglesi
Bigfoot, dopo un paio di
Ep, si affacciano sulla ribalta internazionale con un
full-length eponimo per certi versi piuttosto “sorprendente”, capace per davvero di mescolare un sacco d’influenze ispirative (dagli Eagles ai Pantera, recita il materiale promozionale … e per una volta non si tratta di un’assoluta iperbole!) e di offrirsi con tutto il suo carico di freschezza a un pubblico ampio e sufficientemente eterogeneo.
Nulla di incredibilmente “avventuroso”, sia chiaro, e tuttavia il tentativo di “abbracciare” tante sfumature del
rock è palese e soprattutto parecchio riuscito, grazie alla “misura”, alla cultura e al talento che questi cinque valorosi britannici dimostrano di possedere in ogni solco dell’albo.
In realtà l’apertura riservata alla scura “
Karma”, con il suo
groove vagamente alla BLS, mi aveva instillato qualche perplessità, facendomi balenare il rischio di dovermi “sorbire” l’ennesimo riciclaggio di modalità operative molto diffuse e codificate, ma già dalla successiva “
The fear” il clima sonoro muta in maniera sostanziale … costruzione armonica ficcante e
refrain ad ampio respiro, il tutto inserito in una mistura di
hard-rock e
AOR che rimanda la memoria direttamente ai migliori Tyketto e senza tentare di riprodurne pedissequamente l’inconfondibile
trademark … un gran bel pezzo, insomma.
La scalciante e adescante “
Tell me a lie” prosegue sulla stessa luminosa linea espositiva e conferma le notevoli qualità tecnico/interpretative del cantante
Antony Ellis e l’eccellente preparazione dei suoi abili
pards, mentre “
Forever alone” svela il lato più sentimentale dei nostri, impregnato di sontuosi impasti vocali e di un’atmosfera che chiama in causa GnR e qualcosa dei Boston.
L’ardore
hard-blues della contagiosa “
Eat your words” (un po’ alla Black Stone Cherry) e della pulsante "
Prisoner of war” aggiunge un altro colore alla ricca tavolozza espressiva dei
Bigfoot, “
Freak show” riesce a essere al tempo stesso massiccia e ruffiana (intriganti le piccole scorie
southern) e scommetto che vi troverete a canticchiare la coalizione Aerosmith/Def Leppard (magari in gita a d Kingston … vedasi la fugace incursione
reggae!) di “
I dare you” fin dal primo contatto.
Se vi piacciono Rainbow ed Europe, nelle scosse emotive di “
The devil in me” troverete il modo di soddisfare i vostri (pregevoli) gusti musicali, “
Uninvited” è una “quisquilia”
glitterata da scuotimento istantaneo del deretano e il suo contrasto con “
Yours”, che chiude l’opera facendola sprofondare in un melodramma dal retaggio Queen/Zeppelin-
esco, procura effetti stranianti e non per questo inopportuni.
Mescolare le carte in tavola, incrociando
cum grano salis generi e suggestioni, non è mai un’impresa facile e quando ci si riesce il risultato può essere veramente considerato una vitale “boccata d’ossigeno” per la nostra musica preferita, soffocata dalla stagflazione … i
Bigfoot, forti del loro
monicker, hanno fatto un “passo” importante nella direzione giusta.
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